sabato 25 aprile 2009

L'ETERNA LOTTA TRA LO STUDENTE E IL SUO STATINO


Vorrei conoscere l’inventore degli statini. Vorrei che solo per un minuto mi parlasse e mi spiegasse in quali disastrose situazioni mentali, cognitive e intellettive si trovava quando ha concepito questo mirabile sistema. Probabilmente ce l’aveva a morte con il mondo e in un attacco di misantropia anziché suicidarsi o ritirarsi in meditazione come uno stilita ha deciso di regalare agli studenti universitari un motivo di lamentela perenne.

Due parole per spiegare cos’è uno statino a chi non ha avuto contatti col mondo universitario negli ultimi 10 anni.

Dicesi statino un foglio adesivo che riporta in duplice copia i dati dello studente e del corso, va stampato da uno dei famigerati punti blu e, una volta sostenuto l’esame, viene attaccato sull’apposito registro dove, compilato con voto e firma di professore e studente, serve da certificazione per la segreteria.

Nella contorta mente del suo inventore il sistema serve essenzialmente a verificare l’avvenuto pagamento delle tasse da parte dello studente; infatti in caso di situazione tributaria non regolare il punto blu si rifiuta di emettere lo statino e lo studente è impossibilitato a sostenere l’esame.

Fin qui sembrerebbe quasi un’idea sensata e applicabile, se solo fossimo in un futuristico campus del Nord Europa. Invece siamo a Torino e ci sono alcuni inconvenienti che, evidentemente, non sono parsi rilevanti a chi si è incaricato di progettare il sistema, e che restano perennemente irrisolti.

Punto primo: i punti blu sono pochi, soprattutto per le facoltà scientifiche. In quest’area, che si estende per un paio di chilometri, ci sono 5 macchinette distributrici di statini per un totale di 6-7.000 studenti. Non ci vuole un Tiresia a prevedere che le code che si formano in periodo esami siano insostenibili.

Punto secondo: la manutenzione dei punti blu suddetti è pessima. Non è quindi raro, anzi è la norma, che delle cinque postazioni a disposizione una almeno sia spenta, due abbiano finito la carta adesiva, una sia bloccata per errore di sistema e l’ultima abbia un qualche malfunzionamento, ad esempio del mouse. Mi sono trovata personalmente in questa condizione, dopo aver chiamato l’assistenza (il tecnico si è limitato a smontare il tutto, togliere la rotella del mouse, soffiarci sopra e rimontarla) il problema non è stato risolto. C’erano una ventina di persone in coda che avevano la necessità assoluta di stampare qualche statino, tutti a fissare la freccina del puntatore del mouse, nella speranza che potesse muoversi per telecinesi e abbreviare in qualche modo il tempo necessario per l’operazione. Sarebbe stato davvero comico, se solo non avessi avuto voglia di piangere.

Come se la situazione di per se non fosse abbastanza grave ci si mette anche la superstizione universitaria. Una volta si diceva che chi sale sulla Mole durante l’università non si laurea più, ora si dice che chi stampa lo statino in anticipo non passa l’esame. Vi lascio immaginare le affannose ricerche di un punto blu funzionante la mattina dell’esame e le penose implorazioni al professore: “La prego, non funziona nessuna macchinetta” “Registri a mano” “registri domani” “vengo a casa sua domenica mattina, ma mi registri il voto anche se non ho lo statino”. Qui la colpa è dello studente, direte, e ne convengo, ma l’insieme di circostanze fa sì che sia impossibile essere relativamente certi di stampare uno statino tra dicembre e febbraio e tra maggio e luglio (cioè negli unici periodi dell’anno in cui è necessario).

La stessa difficoltà che si ha nell’impossessarsi di uno statino facilita l’instaurarsi di un circolo vizioso per cui chi non è superstizioso, appena per caso si imbatte in una postazione libera e funzionante inizia a stampare tutto quello che potrebbe servirgli di qui a sei mesi. Stampa l’intero carico didattico, chiama gli amici e chiede se anche loro ne hanno bisogno e, terminata l’operazione, si allontana con un plico di fogli adesivi nascosto sotto la giacca a mo’di contrabbandiere.

Faccio infine notare che come sistema è piuttosto costoso. La carta adesiva prestampata con il logo dell’università in filigrana non deve essere troppo economica, e molti statini per i motivi di cui sopra vengono sprecati. Perché scadono ogni tre mesi (chissà perché poi), perché nel frattempo li si perde, perché non si passa l’esame (l'avevo detto che porta sfiga), perché quando un foglio si incastra nella stampante vengono fuori degli obbrobri macchiati e sporchi che non si possono usare.

Allora mi chiedo, se proprio vogliamo fare i tecnologici… perché non stampare gli statini su carta normale, possibilmente da casa, e rendere adesivi i registri? O piuttosto torniamo alla pergamene, assoldiamo degli scriba che si occupino di trascrivere a mano i dati sul registro, il loro stipendio sarebbe di certo più meritato di quello degli informatici dei punti blu.

venerdì 10 aprile 2009

DIVENTARE GRANDI




Da qualche settimana abbiamo detto addio al Polo Biologico e ci siamo trasferiti alla periferia dell’ospedale. Al di là della mia personale preferenza per le aule ottocentesche di via Giuria a quelle carcerarie, interrate e claustrofobiche di via Santena, è uno spostamento ricco di significato. Siamo al giro di boa della carriera universitaria, le conoscenze scientifiche di base si danno per acquisite ed iniziano le famigerate “cliniche”.
È un semestre di sospensione, così come sospesa è la sistemazione: non lontana dall’ospedale (come era negli anni passati) ma non ancora Dentro (come sarà nei futuri).

E’ un passaggio che si attende per anni, già dal secondo semestre del primo anno, quando l’entusiasmo iniziale dovuto alla novità della vita universitaria in parte si è smorzato e ci si inizia a chiedere “A cosa mi serve studiare Questo?” e soprattutto: “Me lo ricorderò quando sarò dottore?”. Da allora si inizia ad aspettare questo momento, queste maledette cliniche, quando finalmente si studierà qualcosa che serve, che fa diventare medici seri e utili. Poi ci si accorge che le lezioni sono quello che sono, non si possono fare miracoli, per imparare non bastano i libri e allora subentra un attanagliante senso di inadeguatezza.

Per la prima volta viene meno il pensiero consolatorio “Anche se dimentico la formula di struttura della vitamina B12 nessuno morirà per questo”, sostituito dalla consapevolezza che quello che il professore sta cercando di spiegare in questo momento, mentre tu proprio non riesci ad ascoltare e sei sempre più attirato dal racconto delle prodezze del tuo vicino, quello sì che servirà, fa parte sicuramente delle cose che un medico dovrebbe sapere. Per di più ce ne sono molte altre di cose che si dovrebbero sapere e che però non saprai perché saranno trascurate dal professore, perché le dimenticherai, perché non le studierai e nessuno se ne accorgerà, perché le lezioni sono noiose o perché l’esame è facile.

Però uscito da qui sarai il Dottore… Il Dottore ha studiato sei anni… il Dottore sa!... Se lo dice il Dottore… C’è un Dottore in sala?... Il Dottore ha sempre ragione…Chiamate un Dottore!... Dottore mi fido di Lei….

Ebbene, il Dottore è in grado di avere per le mani la vita di un essere umano?

È un concetto con cui si impara a convivere, viene usato come sprone da quasi tutti i professori dei primi anni, ma nessuno studente ci crede nell’immediato. Nessuno pensa, a ragione, che dimenticare la struttura tridimensionale di un canale piuttosto che il grafico della resistenza arteriolare o il nome dei vasi del circolo di Willis possa compromettere una terapia (per quanto un sofista di media abilità saprebbe dimostrare il contrario). Ma poniamo che si tratti di dosare un farmaco o diagnosticare un tumore o una TVP… Poniamo che tu non ne sia in grado perché non ne hai mai visto uno, poniamo che abbia preso trenta di quell’esame ma non te l’abbiano chiesto, poniamo che non te l’abbiano insegnato.

La risposta a questa profonda angoscia esistenziale è arrivata per caso, una sera, quando leggendo le memorie di un giovane dottore mi sono imbattuta in questa frase dolceamara e non ho potuto che sorridere:


“Medical School, which is frankly a farce, was at best a subliminal education where at same stage, from these vast oceans of factual sludge, you manage to extract a representative and intuitive background idea of how things should be in the body. Then you supplement this with the practical stuff about what you really need to be a doctor, usually at 3 a.m. when you’re the only person around with even half a clue and all the punters kick off at once and the registrar is in bed. The system works. It works fine. Just don’t worry about it”*.

Ci proverò.



*Michael Foxton: "Bedside Stories, confessions of a junior doctor", The Guardian Atlantic Books, 2003