domenica 12 aprile 2015

LA BUONA SQUOLA

Vengo da un'epoca in cui un qualsivoglia errore ortografico al liceo (classico) significava 4, indipendentemente dal contenuto del compito. Una volta scrissi strattagemma e mi vidi riconsegnare il tema con un fregaccio blu. Combattei per quello che non credevo un errore e mi salvai grazie al (sempre-sia-lodato) Devoto-Oli  il cui lemma riportava: "stratagemma sost. s. m.; anche popol. strattagemma". Il mio voto tornò sufficiente, ma imparai a scrivere stratagemma.
Ora so che i miei vecchi professori del liceo (classico!) non correggono più gli errori ortografici nei compiti di matematica e scienze perché "E' compito del collega di italiano...." il quale si giustifica "Se dessi 4 a tutti i temi con un errore non avrei neanche una sufficienza".

Primo Levi, diplomatosi nella mia stessa scuola nel 1937, era in grado di conversare in latino intendendosi perfettamente con un prete polacco*.
I diplomati del 2017 potrebbero non essere più in grado di scrivere poche frasi in corretto italiano.
Cosa diamine è accaduto nel frattempo?
Sarà colpa degli sms, dei videogiochi, di internet, della globalizzazione, dell'inglese?

Sarà colpa nostra?

Se entrate in una classe delle elementari o delle medie di oggi su venti ragazzini almeno quattro saranno certificati come DSA ovvero disturbi specifici dell'apprendimento, un gran calderone in cui rientrano dislessici, disgrafici, discalculi, disprassici.
Tento una piccola spiegazione per chi, come me, non è né neuropsichiatra né insegnante.

Agenore ha sei anni e frequenta la prima elementare. A un certo punto dell'anno scolastico la maestra si rende conto che Agenore è indietro con la lettura, fa indubbiamente più fatica degli altri bambini, eppure è tanto intelligente e capisce al volo le spiegazioni.
Ludmilla, invece, legge come una scheggia, ma fa molta fatica a scrivere e ogni volta incappa negli stessi errori: la b al posto della v, la m al posto della n.
Agenore e Ludmilla vengono valutati da uno specialista dei disturbi dell'apprendimento in età pediatrica e viene loro diagnosticata rispettivamente una forma lieve di dislessia e di disortografia. Entrano così nel circuito dei DSA: hanno (come da definizione) un funzionamento intellettivo di norma e un disturbo specifico dell'apprendimento.

Nella scuola del 1990 sarebbero stati etichettati come un po' lenti, la maestra avrebbe chiesto più spesso ad Agenore di leggere in classe e avrebbe convocato i genitori di Ludmilla per esortarli a farla esercitare a casa con i dettati.
Ma è preistoria.
Cosa accade nella scuola del Ventunesimo secolo?
Accade che l'insegnante è costretto per legge a "tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni "[...] attuando "nello svolgimento dell'attività didattica e delle prove di esame [...] gli strumenti metodologido didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idoneiper evitare di trasformare in sofferenza il percorso scolastico e valorizzare le abilità proprie di ciascuno.

Così Agenore dovrà sempre essere interrogato e Ludmilla avrà un compito diverso da tutti i suoi compagni, con le domande a risposta multipla anziché aperta. In fondo quello che conta è che i bambini abbiano appreso il contenuto delle lezioni, non che sappiano per forza leggere e scrivere.

Un po' come dire che se non ho il fisico o il fiato di Stefano Baldini non importa, posso correre 10 Km invece di 42 e se arrivo entro lo stesso tempo del campione olimpico vincerò anch'io la medaglia d'oro (senza che, ovviamente, risulti da nessuna parte che ho corso 10 km o potrebbero discriminarmi).

Molto bello, molto egualitario.

Mi chiedo solo come farà Agenore tra dieci anni a leggere gli stati facebook dei suoi amici e come Ludmilla manderà un sms al suo ragazzo. Ma è una distorsione del mio antiquato modo di pensare: chiaramente il primo chiederà a Siri di leggerglieli e la seconda manderà messaggi vocali su whatsapp.
E un contratto? Agenore se lo farà leggere confessando di essere dislessico o farà finta di nulla e firmerà sulla fiducia?

A complicare il tutto nella classe di Agenore e Ludmilla ci sono anche Teofrasto e Berenice, due bambini con identici sintomi: fanno fatica a studiare, a memorizzare, ogni pochi minuti alzano la testa dal libro e si distraggono. I genitori di Teofrasto all'ennesima insufficienza lo portano dal neuropsichiatra. Quelli di Berenice non sono così attenti e si limitano a liquidarla con un "non ti impegni abbastanza".
A Teofrasto viene diagnosticata una dislessia lieve, diventa quindi un DSA e i suoi compiti in classe si fanno automaticamente più semplici. Poiché il bambino non è stupido, capisce subito che con questa nuova modalità di verifica gli basta studiare la metà per prendere 6, così regola il lavoro a casa in modo da assestarsi su un nuovo (più basso) livello di sufficienza e finalmente ha più tempo per la playstation 4 che i genitori gli hanno regalato in premio per i suoi nuovi successi scolastici.
Berenice, invece, arranca con i compiti in classe "normali" e colleziona un 4 dopo l'altro, al punto da rischiare di essere bocciata. Eppure i due bambini sono identici.

Forse questo è un po' meno egualitario.

Il fatto è che ciascuno di noi nasce più o meno fortunato e con più o meno doti e abilità, nessuno nasce onnisciente ed onnipotente.
Chi nasce gracile avrà difficoltà a primeggiare nel sollevamento pesi, chi è stonato farà fatica a suonare il violino, chi è disortografico farà fatica a scrivere.
Se sei stonato, però, sento già qualcuno obiettare, nessuno ti obbliga ad andare al Conservatorio.
Giusta osservazione, allora chiediamoci perché esiste la scuola dell'obbligo.
Esiste perché un tale, già nel 1859, deve essersi reso conto che non saper leggere, scrivere, fare di conto e parlare una lingua comune costituiva un handicap, ovvero non consentiva di vivere bene a questo mondo, più di quanto potesse esserlo non riuscire a correre o a cantare.

Non mi sembra sia necessario un ministro dell'istruzione per capire che chi ha difficoltà a scrivere non ha bisogno di essere esentato per legge dalla scrittura per il resto dei suoi giorni, ma ha bisogno di fare il triplo di esercizi per raggiungere un grado sufficiente. Poi magari non diventerà Proust, ma avrà lavorato negli anni per ridurre lo svantaggio e allora sì che la scuola sarà servita a qualcosa.
Solo che ovviamente per creare appositi corsi di sostegno per i disturbi più svariati servono fondi e competenze, mentre obbligare l'insegnante ad arrangiarsi da solo con 5 DSA diversi purché dia a tutti la sufficienza è gratis.

Consideri Renzi, se questa è una buona scuola.

Watterston aveva già capito tutto un sacco di tempo fa...


* Primo Levi, La Tregua, Einaudi, 1997

1 commento:

  1. Come sono d'accordo.
    Ne ho piene le scatole di tutti questi bambini che invece di essere aiutati a superare le difficoltà vengono trattati come criceti cretini, in modo comunque da non rompere le palle agli adulti che hanno accanto: i genitori a casa non devono perdere prezioso tempo ad aiutarli, gli insegnanti a scuola non devono trovare un modo per metterli alla pari coi compagni.

    Si crede di fare un favore a questi ragazzi, in realtà gli si tarpano le ali e gli si brucia il futuro.

    Oggi guarda caso non esistono più bambini pigri nello studio, o distratti: no, tutti dis- qualcosa così si risolve la situazione in pochi minuti, la calcolatrice, il libro sonoro, le crocette.

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