- l'albero puzzolente di via Cernaia
- la Feltrinelli di Porta Nuova
- il cineteatro Baretti
- un bar di via Cibrario che non ho riconosciuto finché non ci ho messo piede dentro
- il pub Nelson
- la panchina di XVIII dicembre quella dal lato dei giardini
- piazza Paleocapa
- piazza Bodoni
- l'angolo del controviale di corso Vittorio con il Palagiustizia
- il cinema Ideal
Mi piace camminare per la mia città, dà la sicurezza di un posto familiare: all'inizio pensavo che il trucco fosse la semplice assuefazione, il vederlo migliaia di volte, come le pareti della tua stanza. Poi ho capito che ciò che conta, invece, è il ricordo.
Casa tua non è tua perché ne hai aperto la porta milioni di volte, ma per l'insieme delle emozioni che ci hai vissuto. Non sei particolarmente affezionato al soffitto che vedi appena sveglio ogni mattina a meno che tu non l'abbia fissato almeno una volta con sguardo sognante durante una lunga telefonata.
Lo stesso vale per le strade della città: vuoi bene a ogni angolo perché ti ricorda qualcosa.
L'ho capito perché da sei mesi a questa parte mi capita, mentre vivo la mia vita normale, di passare in un posto, di imbattermi in qualcosa di apparentemente insignificante e di avvertire una fitta, come un'angina dell'anima.
Uno scherzo delle associazioni spazio-temporali dell'ippocampo, che mi fa voltare all'improvviso e cercare a fianco a me qualcuno che non c'è più.
Come nell'angina vera resto ferma, in mezzo alla gente, e per non sembrare troppo scema guardo una vetrina aspettando che passi. Come l'angina vera, infatti, passa da sola: dura qualche minuto e poi ti abbandona a un fragile benessere.
Ti chiedi perché mai, tra i miliardi di attimi vissuti, è stato sorteggiato quello di un giorno qualunque, durante una passeggiata qualunque, in cui in corrispondenza della terza lastra di via Garibaldi a partire da piazza Statuto è stata pronunciata una frase sicuramente non memorabile. L'interrogativo rimane, ma tutto ciò, ora, in qualche modo misterioso, rende quel posto immensamente speciale.