giovedì 26 marzo 2015

IL WEB, GRAMELLINI E IL MESTIERE DI MEDICO


Molto scalpore ha suscitato, riportano quasi tutti gli articoli che accompagnano quest'immagine, la foto scattata in un pronto soccorso californiano: mostra un medico fisicamente piegato da dolore subito dopo aver perso un paziente di diciannove anni.

Come in ogni notizia dal buonismo facile ci si è gettato a capofitto anche il nostro Gramellini, che chiosa, al termine del suo Buongiorno: "Dovrebbero farne un poster e appenderlo nelle facoltà di medicina".

No, caro Gramellini, le facoltà di medicina non hanno affatto bisogno di questo monito, e ti spiego brevemente il perché.

Quando mi sono iscritta all'università pensavo, come tutti, che quello del medico fosse il mestiere più bello del mondo, perché mi avrebbe consentito di prendermi cura del prossimo, di guarirlo da terribili malattie e nulla mi avrebbe gratificato di più che arrivare a fine giornata sapendo di aver salvato una vita.

Ora che sono un medico penso ancora che il mio sia il mestiere più bello del mondo, ma penso che sia anche uno dei meno gratificanti in assoluto.

Andate in un pub al sabato sera, prendete un campione di cento ragazzi tra i ventuno e i ventisei anni e chiedete loro quante persone, nella loro vita, hanno visto morire, con quanti malati terminali hanno parlato, quanti bambini o coetanei hanno visto soffrire.
Ora ripetete l'esperimento in un'aula del quinto anno di medicina. Forse non tutti avranno avuto un primo tirocinio come il mio, ma ogni studente di medicina, prima della laurea, si è trovato a contatto con la morte e ha sviluppato una strategia per affrontarla, per renderla tollerabile o per chiamarsene il più possibile fuori.
Qualcuno ha scoperto che proprio non ce la fa e ha trovato delle alternative, qualcuno ne fa la propria vocazione, ma, vi svelo un segreto: per nessuno è mai facile.

E quindi sì, meraviglia, il medico che si accorge di essere impotente di fronte alla malattia e alla morte si sente male, quasi come se quello sconosciuto che il caso gli ha affidato fosse un suo amico. Talvolta ce la fa a sopportare il peso, talvolta si convince che si tratti del termine di una sofferenza, talvolta si interroga per giorni su cosa avrebbe potuto fare di diverso o di migliore, talvolta soccombe. Lo fa magari in modo meno plateale del dottore californiano, a casa, sfogandosi con la famiglia o con i colleghi, può persino accadere che la sua psiche ne riporti danni permanenti (si chiama sindrome da burnout).

E quindi no, Gramellini, quella foto non va appesa nelle facoltà di medicina, va mostrata ai sessantaquattromila ragazzi che ogni anno tentano il test di ingresso (un diplomato su otto, è possibile che un diplomato su otto voglia davvero fare questo lavoro? E' possibile che sappia cosa sta facendo?).
Va mostrata a chi in pronto soccorso scalpita e protesta perché la coda già lunga è bloccata da un codice rosso e deve aspettare quattro ore per essere visitato per la sua lombalgia cronica.
Va mostrata a chi si lamenta dei medici perché dopo tre infarti, un arresto cardiaco, due mesi in rianimazione e un intervento cardiochirurgico complesso ha un piede insensibile (comune complicanza da allettamento), senza pensare che è vivo per miracolo. 
Ma soprattutto va mostrata a chi distribuisce questi volantini fuori dall'ospedale, inducendo chiunque a tentare la strada del rimborso facile (tanto è gratis, tanto qualche errore si trova, tanto paga l'assicurazione che male c'è).

Nessuno sa nulla del medico della foto, né si sa di chi sia la colpa della morte del ragazzo (se mai colpa c'è stata), eppure "il web si commuove" e "l'immagine fa il giro del mondo": nella semplicistica sfera emotiva di internet il dolore di questo medico lo assolve, così come le fotografie di autopsie di gatti condannano perpetuamente gli scienziati a truci sofferenze.

Ebbene, forse serviva una foto di così forte impatto per far comprendere che ogni medico si è sentito così, almeno nell'anima, almeno una volta nella sua carriera. Ricordatevelo la prossima volta che "Se guarisco è merito di padre Pio, se non guarisco è colpa dei medici".