la signora C. ha 86 anni, le mani grandi di chi ha lavorato una vita e la voce roca e un po' incerta. Ha una famiglia numerosa, ma nessuno con cui parlare. Faceva l'infermiera a domicilio, da quando a 14 anni si è fatta insegnare a fare le iniezioni per alleviare le sofferenze della mamma con il tumore al fegato.
con quella abilità (e qualche aborto clandestino) ha arrotondato la pensione del marito quando si è ammalato di una patologia genetica neurologica degenerativa. L'ha assistito per 28 anni, allevando contemporaneamente i figli. Due sono nei campi elisi, specifica però con tristezza. Il terzo faceva il professore di disegno, ma ormai sono 30 anni che è in carrozzina anche lui e non è più capace neanche di scrivere il suo nome.
Con l'unico figlio che le rimane non ci parla, la nuora la incolpa di non averla avvertita che i nipoti si sarebbero inevitabilmente ammalati. E infatti uno dei due è "ai campi elisi" a far compagnia agli zii e l'altra è in sedia a rotelle. Ma la signora C. ha sempre un sorriso per tutti, quando le proponiamo un periodo di convalescenza in una villa fuori città, acconsente e poi ci dice piano "c'è stata mia figlia prima di morire, ma va bene così".
Il signor G. è un "grande anziano" (così chiamano i novantenni al pronto soccorso per sbolognarli con qualunque scusa alla medicina interna) e come colpa ha "alterazioni comportamentali in assenza di deterioramento cognitivo o patologia psichiatrica", tradotto in altri termini un pessimo carattere, così va a finire che qualunque discussione con la sua badante finisce a gara di frisbee con i piatti e con un successivo viaggio in ambulanza. Ma con le badanti ha sempre avuto un rapporto contrastante, a volte, se sono carine, le ama e le brama e fa proposte indecenti. Altre volte, soprattutto se rifiutano, aggiunge al frisbee la lotta libera con bastone e al pronto soccorso ci finiscono entrambi.
Non si rassegna alla perdita della moglie, che sposò durante la guerra e con la quale ha trascorso i 60 anni successivi e alla distanza dai figli che lo vogliono far interdire, che per chi è sempre stato abituato ad avere il dominio assoluto della propria casa è peggio della morte.
Il signor G. è un "grande anziano" (così chiamano i novantenni al pronto soccorso per sbolognarli con qualunque scusa alla medicina interna) e come colpa ha "alterazioni comportamentali in assenza di deterioramento cognitivo o patologia psichiatrica", tradotto in altri termini un pessimo carattere, così va a finire che qualunque discussione con la sua badante finisce a gara di frisbee con i piatti e con un successivo viaggio in ambulanza. Ma con le badanti ha sempre avuto un rapporto contrastante, a volte, se sono carine, le ama e le brama e fa proposte indecenti. Altre volte, soprattutto se rifiutano, aggiunge al frisbee la lotta libera con bastone e al pronto soccorso ci finiscono entrambi.
Non si rassegna alla perdita della moglie, che sposò durante la guerra e con la quale ha trascorso i 60 anni successivi e alla distanza dai figli che lo vogliono far interdire, che per chi è sempre stato abituato ad avere il dominio assoluto della propria casa è peggio della morte.
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