Ho sempre odiato l'idea di utilizzare questo blog come tale. Sì, ci scrivo, ma mai in tempo reale per raccontare cosa mi succede. Sì, sono storie della mia vita, ma raccontate magari a mesi o anni di distanza, su cui ho avuto il tempo di riflettere e che ho avuto modo di rielaborare.
Da una settimana però mi sono trasferita a Londra, dove starò, a quanto pare, per i prossimi sei mesi a completare una parte della specialità. Così la voglia di buttare giù le prime impressioni un po' mi è venuta e farò questo tentativo di post totalmente sperimentale in stile diario. Non vi aspettate il bollettino settimanale perché è più che probabile che tra una settimana mi sia stufata, sia troppo stanca o non abbia semplicemente voglia di scrivere e la storia finisca qui.
Due notizie al volo per chi non fosse aggiornato sulla mia vita, o magari neanche mi conosce.
Dove sono?
Al St. George's Hospital di Londra
In che reparto?
Acute Medicine, che in Italia non ha un corrispettivo vero e proprio e non saprei neanche bene spiegare cosa sia... non è un pronto soccorso, non è un'OBI (quella esiste pure qui e si chiama General Observation Unit), non è una medicina interna e neanche una medicina d'urgenza. Vi farete forse un'idea man mano che la descrivo.
A fare cosa?
Bella domanda, per ora osservo finché l'ordine dei medici inglese (il famigerato GMC di cui sentirete a lungo parlare se avrò voglia di continuare questi post) non approva tutti i miei documenti e mi fornisce una licenza. L'affiancamento qui è chiamato shadowing e trovo che la parola renda molto bene l'idea: sei l'ombra immateriale di qualcuno, lo segui ovunque senza toccare niente.
L'ospedale si trova nel [ehm] graziosissimo sobborgo londinese di Tooting (vedi mappa allegata, se state pensando di venirmi a trovare sappiate che è a una comoda mezz'ora di metropolitana dal centro), quartiere che alterna strade di casette basse all'inglese e corsi con grandi magazzini a buon mercato, macellai arabi, ristoranti indiani, negozi cinesi e tutto quanto il multietnico panorama locale abbia da offrire.
Il St George's è enorme, ma le indicazioni interne sono molto migliori delle nostre, e con le nostre intendo ovviamente quelle delle Molinette, dove il percorso per la risonanza magnetica può essere indicato con la stessa autorevolezza dalla segnaletica ufficiale gentilmente sponsorizzata dal San Paolo, così come da fogli A4 anonimi o da ancora più anonime scritte a pennarello sui muri.
La cosa che mi colpisce a prima vista, oltre alla reception degna di un albergo di lusso, è che l'ospedale pullula di caffetterie e supermercati, solo nella nostra ala ce ne sono 4. E i supermercati offrono esclusivamente pasti pronti o semi-pronti, da riscaldare al microonde. Mangiano tutti così, dai lavoratori ai parenti: all'ora di pranzo passano a comprare un pacco di patatine, una bibita, un dolce o un panino e mangiano in piedi, alla scrivania o nella stanza relax, in rigoroso silenzio.
Il mio primo giorno è un inferno di incomprensione. Quando arrivo al meeting del mattino nessuno pare fare caso a me, così copio due studentesse di medicina che sanno già dove trovare le consegne e inizio a leggerle.
Il reparto conta 58 letti divisi in 6 grossi stanzoni + la subintensiva + le side room per gli isolati: chiunque vomiti o abbia diarrea o per cui viga il sospetto clinico di influenza finisce di prassi in side room fino a termine degli accertamenti, così hanno un tasso di infezioni da contatto da clostridium difficile e MRSA pari a 0 nell'ultimo mese, almeno a dar retta ai cartelli orgogliosamente esposti in bacheca.
Le consegne sono praticamente in codice. Usano più sigle che parole e solo alcune sono di immediata comprensione o almeno intuibili: DOA (day of admission), DOB (Day of birth), T2DM (diabete mellito tipo 2), IECOPD (inflammatory? infectious? sì, infectious exacerbation of chronic obstructive pulmonary disease), T1RF (type 1 respiratory failure) CXR (Chest X-ray). La decrittazione di altri acronimi mi richiede alcuni giorni tra slang locale e idiozia mia. Per venerdì comunque ho capito anche che SOB sta per shortness of breath, che STAR è un tipo di fisioterapia (ma neanche lo specializzando sapeva per cosa stessero le lettere) e TTO vuol dire to take out e sono i farmaci che vengono consegnati direttamente al paziente in dimissione senza che debba passare in farmacia o dal curante.
Il consultant (medico specialista) che conduce il giro visite il primo giorno è un centometrista, tra le 9 e le 11 visitiamo 21 pazienti, quattro chiacchiere (comprensibili) con i malati, quattro ordini (incomprensibili) agli specializzandi che prendono freneticamente appunti e annotano l'esame obiettivo in cartella e via, al paziente successivo.
Alle 11 pausa caffè: ordino un espresso e la specializzanda del secondo anno si gira verso di me e mi guarda con gli occhi di chi non ha mai visto nessuno ordinare un espresso nella sua vita. Il suo stupore perdura quando nota il piccolo bicchiere bianco in cui me lo consegnano (probabilmente non ha mai visto un espresso). E tra l'altro non era neppure così terribile, nei bar della stazione ho ingerito di peggio.
Il mio esordio clinico non è dei più brillanti: dal momento che non posso toccare niente e partecipare a nessuna procedura invasiva, ma non ho neanche l'indispensabile tesserino dell'ospedale che va inserito nei computer per avere l'accesso al sistema informatico, il lavoro che mi resta da fare è il fattorino. Peccato che è il mio primo giorno, parlo male inglese e non conosco l'ospedale e il suo personale. Il mio primo incarico è di far fare l'ECG al paziente del letto 25, ma quando entro nella stanza è vuota. Cerco disperatamente qualcuno, senza successo. Mi rivolgo allora all'infermiera della stanza a fianco che mi manda gentilmente a stendere perchè lei è occupata lì e qualcuno dall'altra parte dovrà pur esserci (o almeno così mi pare di capire). Torno nella mia stanza e piantono il letto decisa a non farmi scappare il passaggio dell'infermiere incaricato della zona, finalmente all'orizzonte compare una ragazza bionda e magra in una divisa bianca con motivo geometrico. Cerco di spiegarle che vorremmo un ECG a 12 derivazioni del paziente al letto 25, ma mi guarda stranita. Attribuendo questo smarrimento al mio inglese approssimativo mi lancio in più dettagliate descrizioni di cosa vorremmo, ma il suo smarrimento aumenta a vista d'occhio. Poi finalmente mi risponde: "Ma io sono quella delle pulizie!".
Da ER a Scrubs in un nanosecondo:
Tra lavoro altrui e figure di merda mie si fa mezzogiorno e gli esami del sangue non sono ancora arrivati. Il laboratorio sostiene di non averli mai ricevuti, ma non si riesce a capire se i prelievi siano stati fatti e poi smarriti o non siano stati fatti proprio. Ci metto un po' a capire l'inghippo, poi finalmente mi spiegano: esiste qui la figura del phlebotomist un infermiere specializzato che al mattino passa in tutti i reparti dell'ospedale e fa i prelievi ai pazienti. Meraviglioso esempio di efficienza e settorializzazione, non fosse che quando i phlebotomist non riescono a prelevare i campioni a qualcuno non è che avvisano, ma se ne vanno, furtivi come quando sono arrivati, senza prelievi. Così ci si accorge solo dopo ore che metà dei pazienti sono ancora da bucare. Quando racconto che in Italia i prelievi li fanno gli infermieri mi guardano di nuovo tutti come se venissi da Marte. Così chiedo che tipo di studi facciano i phlebotomist e mi dicono che sì, in effetti sono infermieri, ma fanno solo quello, è impensabile chiedere agli infermieri della corsia di fare i prelievi, piuttosto li fanno i medici. Ma saranno strani 'sti inglesi...
Però per essere un paese in cui in cartella esistono grossi fogli rossi per chi non desidera essere rianimato e che per cultura preferisce la verità brutale alla nostra versione edulcorata non comunicano male.
Tra i nostri pazienti c'è una settaquattrenne con un tumore alla mammella in stadio avanzato e un'insufficienza respiratoria. La ventilazione non invasiva aiuta, ma la signora non è in grado di tollerarla a lungo. Il consultant decide che è il momento di chiederle fino a che punto voglia proseguire con le cure e lo fa in modo dolce e chiaro, ma senza nasconderle che il rischio, se la intubano, è che non si svegli più. Le parla inginocchiato a terra nella posizione dei cavalieri che ricevono l'investitura, per portare gli occhi alla stessa altezza dei suoi.
Alla fine potrei quasi sentirmi a casa.
Tra i nostri pazienti c'è una settaquattrenne con un tumore alla mammella in stadio avanzato e un'insufficienza respiratoria. La ventilazione non invasiva aiuta, ma la signora non è in grado di tollerarla a lungo. Il consultant decide che è il momento di chiederle fino a che punto voglia proseguire con le cure e lo fa in modo dolce e chiaro, ma senza nasconderle che il rischio, se la intubano, è che non si svegli più. Le parla inginocchiato a terra nella posizione dei cavalieri che ricevono l'investitura, per portare gli occhi alla stessa altezza dei suoi.
Alla fine potrei quasi sentirmi a casa.
Conoscevo la storia del phlebotomist e mi sono sempre chiesto se la meravigliosa mania della filosofia da iperspecializzazione sia la causa della grande richiesta da parte della GB di infermieri italiani meno specializzati ma bravi a fare un po' di tutto... Tienici aggiornati!
RispondiEliminaeh, peccato che agli infermieri italiani poi non fanno fare le cose! Ieri per far fare le prove della disfagia a un paziente (cioè bere un sorso d'acqua non so se mi spiego!) volevano l'infermiere specializzato in quello. L'infermiera di corsia era italiana e si lamentava appunto perchè lei sapeva fare la prova del bicchiere ma qui non può farla perchè non ha l'autorizzazione, che viene rilasciata solo dopo un apposito corso. Insomma a burocrazia anche loro stanno messi bene...
RispondiEliminaaggiornerò di sicuro! grazie
Ciao Michy...
RispondiEliminaBenvenuta!
Devo ammettere che non ti sei smentita...la tua scaltrezza è degna di lode di cui sono sicuro, nonostante l'abitudine, ne vai ancora fiera.
Il mondo dell'NHS è un sistema talmente articolato che anche persone che ci lavorano da decenni si stupiscono di scoprire ancora cose nuove e tu in un giorno solo hai scoperto davvero tantissimo!!!
Curioso che non menzioni la cosa che più aveva spiazzato me agli esordi...i nomi dei reparti!!!
Voglio dire: perchè dare nomi propri ai reparti e non chiamarli per la specialità di cui si occupano?
La risposta l'ho trovata solo dopo un anno!!!!!
Un abbraccio...
Ciao Enri! grazie!! Che bello sentirti!
EliminaNo, in realtà mi sono chiesta anche quello, ma ho in elaborazione un post sulle varie follie degli inglesi che man mano sto notando, quindi lo leggerai in quella lista lì... anche se il motivo ovviamente mi è oscuro. Oddio da che pulpito... anche noi chiamiamo le chirurgie Morino o Salizzoni quando non Ex Mioli, quindi posso solo immaginare quanto sarebbe profondo lo sfasamento al contrario!
Tu come te la passi? a che punto sei ora del percorso?
Navigando in cerca di notizie si incappa a volte in vere e proprie "perle" come questa che hai scritto.
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