mercoledì 2 gennaio 2019

Obiettivo risarcimento e la medicina difensiva



«Se pensi di essere vittima di un caso di malasanità puoi far sentire la tua voce, saremo a tua disposizione a zero anticipi e zero rischi». Questo dichiara lo spot «Obiettivo risarcimento», trasmesso per qualche settimana sulle reti nazionali e poi ritirato su richiesta della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici (FNOMCeO) e del Ministro Giulia Grillo.

Mi sono presa la briga di leggere qualche commento sotto il post del Ministro e ho dovuto immediatamente chiudere la pagina per evitare una pancreatite fulminante da travaso di bile.
Gli stessi no-vax che non credono nella scienza gridano al gombloddo della Kasta dei medici e pretendono che sia il tribunale a decidere chi svolge la propria professione correttamente e chi no.
Purtroppo non ho salvato gli screenshot migliori, ero troppo impegnata a vomitare, ma i migliori sono quelli dei sostenitori dei 5 stelle che sostengono che il ministro si sia venduta ai "poteri forti" e sia indistinguibile dalla Lorenzin.

Lasciate che vi chiarisca qualche punto.

In Italia chi è vittima di un presunto errore medico può denunciare la struttura per ottenere un risarcimento del danno (ed è una denuncia civile, a pagamento) oppure denunciare direttamente il medico per lesioni personali (un reato penale perseguibile a querela, che è gratuita). In entrambi i casi non è, ovviamente, detto che chi sporge la denuncia abbia ragione, ma l'ordinamento giuridico si comporta in modo diverso nei due casi. Nel caso di articoli normati dal codice civile la dimostrazione di innocenza è a carico della difesa e basta dimostrare che sia più probabile che il danno sia stato causato da un errore piuttosto che no per ottenere il risarcimento. Nel penale, invece, la dimostrazione di colpevolezza è a carico dell'accusa e deve essere certa. Non si può incarcerare qualcuno perché "è più probabile che abbia ucciso una persona piuttosto che non l'abbia uccisa"... vale lo stesso per le lesioni colpose. A meno che non sia certo che la lesione è avvenuta con colpa (ossia per imprudenza, imperizia o negligenza) vincerà la difesa e l'accusa sarà condannata al pagamento delle spese processuali.

Non a caso il 99% delle cause penali finisce con un'assoluzione, mentre nei processi civili spesso il risarcimento è di poche migliaia di euro, anche inferiori ai costi processuali. Spessissimo nelle cause civili gli ospedali patteggiano in via extragiudiziale, ossia accordano un rimborso di poche migliaia di euro pur di non intraprendere le vie legali, molto più lunghe e costose.

Esiste poi un'ultima possibilità: l'indennizzo. L'indennizzo è una somma di denaro che viene elargita a titolo di risarcimento danni nei casi in cui il danno sia certo, ma non vi sia colpa. E' il caso ad esempio dell'errata diagnosi prenatale: ogni test ha una certa sensibilità ed è possibile che una malattia genetica sfugga alla diagnosi prenatale. Accertato che non vi è colpa, perché i test sono stati eseguiti ed interpretati correttamente, resta il danno dovuto alla mancata diagnosi, ed è possibile ottenere un indennizzo.

E fin qui, si dirà, i medici non hanno nulla da temere: se nel 99% dei casi ne escono assolti perché mai devono protestare contro una simile pubblicità?

Perché il nostro lavoro non è come quello del meccanico che vi ripara l'automobile e vi dà la garanzia sui pezzi sostituiti. Il nostro lavoro è difficile e l'esito è incerto. La medicina non assomiglia all'ingegneria, dove i calcoli strutturali corretti fanno stare su il ponte; l'essere umano è una macchina complessa, talvolta guarisce da sé, talvolta subisce danni anche se tutto è stato fatto perfettamente.

Proprio per questo motivo è difficile dimostrare in tribunale di aver subito un danno: per ogni caso eclatante (come le pinze in pancia di Elio e le storie tese) ve ne sono mille in cui stabilire un nesso causale è difficilissimo e non vi è modo di sapere cosa sarebbe avvenuto se il medico si fosse comportato diversamente. Tutto ciò che i medici hanno a disposizione, come ausilio decisionale, sono delle linee guida che dicono che "agire in un certo modo in un certo gruppo di pazienti nella maggior parte dei casi è meglio che agire in un altro". Ma nulla garantisce l'esito di una specifica decisione in un paziente specifico.

Per di più il nostro lavoro richiede un numero impressionante di decisioni quotidiane, e, anche il medico più studioso e scrupoloso del mondo prima o poi sbaglierà.
"E quindi i pazienti ci devono rimettere?" Chiederete voi. No, ma vi è una differenza sostanziale tra "chi sbaglia deve pagare" e "chi è danneggiato deve essere risarcito". Nel primo caso si presume che gli errori siano inammissibili, nel secondo li si ammette e si cerca di rimediare alle conseguenze.
La verità è che gli errori sono inevitabili, possono essere ridotti, ma non azzerati.
Cognitivisti di calibro ben maggiore di me se ne sono occupati (se siete interessati vi lascio solo un paio di riferimenti imprescindibili 1, 2), ma prendetelo per buono: l'unico modo di non fare errori è non agire. Qualunque comportamento umano reca in sé una fonte di errore.

Vi delizierò con un esempio personale: lavoro in pronto soccorso e nell'ultimo mese ho visitato 245 pazienti, dimettendone personalmente il 78 %. In base alle ore lavorate ho dedicato in media 33 minuti a paziente. Tra spostamenti, burocrazia e telefonate probabilmente il tempo trascorso effettivamente faccia a faccia con il paziente durante la visita è inferiore ai 10 minuti.

La totalità dei pazienti che si reca al pronto soccorso ne esce con una diagnosi (un'etichetta) e una terapia. L'etichetta dipende dall'idea che il medico si è fatto del problema del paziente sulla base dei 10 minuti che ha passato con lui e dei pochi accertamenti che ha a disposizione in urgenza. Qual è la probabilità che questa etichetta sia sbagliata? Molto elevata. Ciò che ci si dimentica, però, è che il pronto soccorso è fatto per gestire le urgenze, il nostro lavoro è discriminare in tempo molto breve (circa 10 minuti) le patologie pericolose per la vita da tutte le altre. Non possiamo fare tutte le diagnosi, non possiamo conoscere i pazienti meglio del medico di base, non abbiamo modo di intrattenerci con loro o di indirizzarli ad altre strutture. Cerchiamo di fare un po' di tutto, ma con le risorse che sono state ottimizzate solo per venire incontro allo scopo originario del pronto soccorso: escludere le patologie immediatamente pericolose per la vita.

Obiettivo Risarcimento se ne frega degli errori cognitivi, dello scopo di una struttura ospedaliera, delle conseguenze dell'errore: deve solo ottenere soldi e lo fa nel modo giuridicamente più ineccepibile: contestando errori di prescrizione o ritardi diagnostici senza conseguenze.

Ma torniamo alla domanda originaria: perché denunciare in modo indiscriminato i medici è malsano?

Perché genera difensivismo, che decuplica i costi della sanità e ne riduce la qualità.

Cos'è il difensivismo? è scegliere una condotta non perché ritenuta benefica per il paziente, ma solo per evitare eventuali denunce.

Facciamo un esempio: l'embolia polmonare è una patologia che causa affaticamento respiratorio e mancanza di fiato. E' relativamente rara, ha dei fattori di rischio specifico, ma può essere anche grave. Si diagnostica solo con la TAC. Chi agisce secondo scienza e coscienza valuta la probabilità che il paziente abbia l'embolia polmonare e decide di chiedere la TAC solo se questo rischio è sufficientemente elevato (per non sottoporre il paziente a radiazioni inutili e non aumentare costi e liste d'attesa). Capiterà però di sicuro che alcuni pazienti con l'embolia polmonare non grave siano dimessi senza fare la TAC e quindi senza diagnosi.

Negli USA, dove il difensivismo è molto più comune che da noi, in pronto soccorso un paziente su 10 si becca una TAC per escludere l'embolia polmonare (in Europa meno di 1 su 50). E' necessario? gli studi dicono di no. Diagnosticare più embolie polmonari che in Europa non riduce la mortalità della malattia. Si tratta di una diagnosi inutile. Perché gli americani lo fanno? Perché i medici pensano che se si perdono un'embolia polmonare il paziente li denuncerà. Non stanno pensando al benessere del paziente (che prenderà radiazioni inutili), ma a difendersi dalle denunce. Per di più lì è il paziente a pagare la TAC, non l'ospedale.

Nel nostro sistema sanitario, invece, il "pagante" non esiste, o meglio è costituito da tutti i contribuenti. I medici prescrivono accertamenti e svolgono operazioni che lo Stato rimborserà all'ospedale. Non ottengono nessun tornaconto diretto né dall'appropriato uso delle risorse, né dall'astensionismo. La deontologia impone al medico di scegliere gli accertamenti necessari al benessere del proprio paziente, evitando quelli inutili... ma se il sistema è viziato dal rischio di denunce nessuno impedisce al medico di richiedere troppi accertamenti con danni per il paziente stesso e per la sanità. Peggio ancora in ambito chirurgico: in USA i chirurghi si rifiutano di eseguire interventi troppo complessi per paura di essere denunciati dai pazienti in caso di esito infausto. In Italia la medicina difensiva ha fatto crescere a 14 milioni di euro l’anno la spesa per esami e ricoveri impropri. Un costo che pagano tutti.

Come sempre, il problema dell'elettorato a 5 stelle è la totale incapacità di analisi della realtà.
"Vogliamo il reddito di cittadinanza per chi non studia e non lavora"
"Non è che perché uno ha studiato deve per forza avere ragione"
Se ci aggiungete pure che chi ha studiato e fa un lavoro faticoso e rischioso come quello del medico deve guadagnare di meno, prendere meno pensione ed essere denunciato di più... potete pure toglierlo il numero chiuso a medicina, in capo a qualche anno non troverete un'anima che sia disposta a farlo questo lavoro.

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