domenica 2 novembre 2014

Caro MIUR, Caro CINECA

Caro MIUR,
Caro CINECA,

Ho sostenuto il test di Medicina nel 2006 (eravamo 2700 nella mia Università per 300 posti) e l'ho superato, mi sono laureata a Luglio 2012, abilitata all'esercizio della professione a Febbraio 2013 e ho partecipato al concorso di specialità della mia regione a Luglio 2013. Il concorso non l'ho superato, non metterò in mezzo Baroni e strani complotti, diciamo che, pur essendo preparata, sono stata sfortunata.

Caro MIUR, 

hai deciso a Novembre che il concorso successivo sarebbe stato nazionale, hai aspettato Marzo per farci capire cosa volesse dire e Maggio per decidere le modalità. Poi hai atteso Luglio per comunicare che le prove sarebbero state a Ottobre.
Io intanto ho studiato, per 8 mesi, anche se non sapevo bene cosa perché la bibliografia non ce l'hai mai fatta avere. Ho studiato di tutto, sui vecchi appunti dell'Università, su libri in italiano, in inglese e in spagnolo.
Ho mandato anche il curriculum all'estero, perché alla fine ho quasi trent'anni e se non superassi il concorso neanche quest'anno non potrei permettermi altri dodici mesi di incertezza e lavori occasionali. Ma alla fine ho deciso di restare, non per viltà come sostiene chi è emigrato, anche se ovviamente in Italia ho parenti e amici, ma in parte anche perché mi piace il mio Paese, ci sto bene e vorrei lavorarci.


Caro CINECA,

mi hai rinchiuso in un aula per quattro giorni, dalle 8 alle 14 senza poter mangiare, bere o andare in bagno. Sono uscita il 31 ottobre senza aver bisogno di travestirmi da zombie per Halloween perché le mie occhiaie e il mio colorito verdastro erano fin troppo realistici. Mi sono goduta l'aria fresca come chi è in pace con la propria coscienza e sa che il peggio è passato.
Sono partita per un week end col mio fidanzato che trascuravo da mesi, ma appena scesa dall'aereo mi ha raggiunto una tua mail. "Scusate, ci siamo sbagliati, ci rincresce immensamente ma dovete rifare le prove". No, non tutte, solo un pezzo, magari quello che mi era andato meglio, quello su cui contavo per superare questo concorso. "Scusate il disagio, ma errare è umano".
Anche nel mio lavoro errare è umano, per questo prima di somministrare i farmaci si fa attenzione e si controlla in tanti. Se inverto le medicine a due pazienti i parenti mi possono denunciare, ma, ancora peggio, qualcuno può morire.


Caro MIUR,
Caro CINECA,

Non voglio fare ricorso, perché nei ricorsi, come sempre, sarà avvantaggiato qualcuno che non lo meritava e qualche meritevole resterà ingiustamente fuori. Ma provatela voi la sensazione che il futuro di dodicimila giovani non vale un doppio controllo sulle domande. Provatela voi l'amara sensazione di essere svalutati e presi in giro dallo Stato per cui vorresti lavorare per i prossimi quarant'anni.


Tratto da "Note di un universo alternativo in cui un anno fa non avessi avuto il culo di superare il concorso di specialità".

sabato 21 giugno 2014

L'ASSURDO MONDO DELLA SPECIALITA': IL DIARIO ELETTRONICO


Ah va' che prima dell'esame c'è da compilare il diario elettronico.

Questa comunicazione non giunge, come sarebbe logico, dalla segreteria di scuola di specialità, ma corre di bocca in bocca, dallo specializzando più anziano a quello più giovane come da tradizione aedica.
Leggende narrano della inaudita difficoltà nel compilare il libretto e farlo validare dal tutor universitario dedicato, soprattutto quando quest'ultimo è in un altro continente, ha perso la smart card o semplicemente non sa usarla.

La mania dell'informatizzazione ha ormai contagiato l'Università intera così ora gran parte delle procedure burocratiche va svolta on line. Bene, benissimo, direte. Benissimo se funziona come la banca on line che mi permette di pagare i bonifici in modo efficiente e sicuro su internet anzichè dovermi mettere in coda alle 6 del mattino per passare davanti ai vecchietti insonni che devono ritirare la pensione. Meno bene se devo, tramite una procedura piuttosto concettosa, autocertificare il mio orario di lavoro e le competenze acquisite tramite un software poco funzionale e un server lento come un bradipo narcolettico.

Nell'urgenza della semplificazione e dell'informatizzazione qualcuno deve aver pensato che anziché permetterci di utilizzare le bollatrici come tutti i lavoratori dell'ospedale, fosse un'idea geniale fornirci di una smart card (ossia una carta con chip) con apposito lettore al fine di poter firmare i documenti per via elettronica e gestire il libretto delle attività.

Io ho avuto appena qualche difficoltà con questo metodo, così ho pensato di scrivere una breve guida per chi necessita o necessiterà in futuro di apprendere ad utilizzare questa imprescindibile tecnologia.

MATERIALE NECESSARIO
- smart card e lettore
- PC
- doti di hackeraggio o in alternativa un amico che lavora per Anonymous
- tempo illimitato
- la supervisione di un coinquilino
- svariati litri di caffè o amfetamine


FASE 1 - PROCURARSI LA SMART CARD
difficoltà: +
trovo la smart card dove l'ho lasciata, cioè in una busta con tutto il resto della documentazione consegnatami al momento dell'iscrizione.


FASE 2 - PROCURARSI IL LETTORE DELLA SMART CARD
difficoltà ++++
livello di pazienza: take it easy
Qui la faccenda si complica. L'ultimo ricordo che ho di quell'infernale oggetto è abbandonato ad impolverarsi su uno scaffale della libreria a casa dei miei. Purtroppo tale ricordo non corrisponde alla realtà. Passo un pomeriggio a cercarlo, poi mi autoconvinco che la compilazione non sia così urgente e rimando. Dopo svariate settimane, per puro caso, lo ritrovo nella tasca sinistra del cappotto di lana che stavo per archiviare nel cambio armadi.


FASE 3 - INSTALLAZIONE DEL LETTORE
difficoltà ++
livello di pazienza: yoga
Inserisco il lettore nella porta USB del PC illudendomi che lo riconosca come tutte le altre periferiche dell'universo, cosa che ovviamente, non accade.
Cerco sul sito dell'Università qualcosa che mi possa aiutare nell'impresa e... miracolo! Trovo addirittura dei tutorial video che spiegano passo per passo come fare.
Peccato che il tutorial inizi con "Introdurre nel lettore CD l'apposito CD di installazione fornito con l'apparecchio" e io sono certa che un CD tra il materiale fornitoci non ci sia mai stato. Poco male, scopro come si chiama il software, lo cerco su Google, lo scarico e lo installo, mandando a stendere il tutorial che mi spiega quante volte cliccare "avanti" sul wizard di windows per poter installare il programma.
Apro il software e clicco sull'icona che mi pare più appropriata, cioè "verifica smart card" e... terrore... mi chiede la password.
Provo con quelle che utilizzo più di frequente finché non mi torna in mente da un recesso lontano della memoria la vocina della ragazza che mi ha aiutato a firmare il contratto per via telematica "Vi consiglio sempre di mettere come password *"!$£"£! [questa parte è stata censurata per rendere lievemente più difficile all'FBI compilare il mio diario elettronico] così è facile da ricordare per tutti!".
Lo faccio, compare una finestra con il mio nome e... basta. Il programma apparentemente non serve ad altro.


FASE 4 - E ORA?
difficoltà ++++
livello di pazienza: anacoreta
Wow. Grazie a una tecnologia avanzatissima ho collegato il mio tesserino di riconoscimento riportante nome, cognome e fotografia al PC e questo è in grado di dirmi, tramite un elaborato sistema di calcolo, come mi chiamo. Miracoli dell'informatica.
Ora devo solo capire cos'è il diario elettronico, dove si trova e come fare a compilarlo.
Per prima cosa provo a cercare tra le mail ricevute dalla scuola di specialità se (per caso) qualcuno si fosse degnato di comunicarci istruzioni e scadenze per questo compito.
Sicuramente ce l'avranno detto e io avrò archiviato la mail come scadenza troppo lontana, mi illudo. Purtroppo nessuna mail fa menzione all'esistenza del diario elettronico, né alla necessità di compilarlo o ad eventuali scadenze.

La seconda possibilità che mi sovviene è che il sito dell'Università, tra i tutorial per decerebrati sull'installazione del lettore, ospiti anche dei video che spieghino come come compilare il diario elettronico. Ma anche questa speranza si rivela vana. L'intero sito fa menzione una sola volta al diario elettronico, all'interno del "Regolamento generale dell'attività dei medici chirurghi in formazione specialistica" dicendo che la scuola è tenuta a crearlo e il tutor a convalidarlo. Il diario elettronico diventa automaticamente più essenziale della naftalina per eta beta e più introvabile dell'arca dell'alleanza.

La terza idea che mi viene in mente è che questo fantomatico diario sia sulla stessa piattaforma delle lezioni on-line (altra grandiosa trovata di cui magari parlerò la prossima volta).
Tra tutte le mail ricevute in quest'anno dalla segreteria di specialità due solo sono di qualche utilità: la prima ci comunica dopo soli sei mesi e con un certo fastidio che è inutile che continuiamo a scrivere per lamentarci che la nostra posta elettronica da studenti non funziona più, perché ovviamente ora abbiamo un altro account di cui nessuno ci ha comunicato le credenziali. La seconda fornisce delle credenziali sbagliate e un link per accedere alle lezioni on line. Ovviamente le credenziali giuste sono quelle della posta elettronica citata nella prima mail. Sono questi i momenti in cui ti rendi conto che aver investito i pomeriggi a leggere Dan Brown al liceo anzichè studiare una volta per tutte l'aoristo è stata, sul lungo termine, una scelta saggia.

Mentre tento di accedere alla pagina delle lezioni on line noto che nella pagina del login oltre allo spazio per le credenziali, in una riga a parte, con carattere da postilla notarile, compare la scritta "accesso con smart card". Proprio quando penso di trovarmi davanti al sacro Graal dello specializzando, però, ricevo l'ennesima delusione: compare un'odiosa finestra "errore non specificato, connessione internet assente". Vuoi vedere che questi geni non hanno pensato alla compatibilità con Google Chrome? mi dico. Così provo con Firefox e, non senza un filo di ribrezzo, perfino con Internet Explorer ma senza risultato alcuno. Spengo tutto e vado a dormire, non prima di aver provocato acufeni all'Università tutta, dalla segretaria di Scuola al Rettore.


FASE 5 - CHIEDERE AIUTO
difficoltà +++
livello di pazienza: monaco buddista
Non sapendo più a che santo votarmi chiedo alla mia coinquilina che, in qualche modo, ha già risolto il mistero.
E' che devi usare Firefox se no non funziona.
Già fatto.
E' che devi aprire prima il programma del lettore e solo dopo andare sul sito.
Già fatto pure questo.
Così ci mettiamo assieme e mi mostra dov'è il problema: bisogna prima fare login con l'account delle lezioni on line (che per farmi perdere tempo decide anche di modificare la password con, non sia mai, - almeno un numero - almeno una lettera minuscola - almeno una lettera maiuscola - almeno un segno di interpunzione - almeno un carattere elfico) solo dopo, nascosto in un menù secondario, si può scovare il link "diario elettronico degli specializzandi".
A questa epifania un raggio di sole passa dal velux sopra la mia scrivania e si posa sulla tastiera facendo discendere lo spirito santo sul mio PC.
Ce l'ho fatta, penso.
E invece, come nel primo Indiana Jones, non faccio in tempo a rubare l'idolo d'oro che una gigantesca palla di pietra si mette a rincorrermi.
La pagina non funziona. Mancano i permessi.

Per fortuna delle comode istruzioni da smanettoni forniscono il link della dll del software del lettore della smart card che va aggiunta alle eccezioni alla sicurezza di Firefox prima di poter continuare.
E non pensate di poterla cercare da un elenco, come la finestra vi illude si possa fare, per motivi misteriosi funziona solo se si digita il percorso carattere per carattere "C:\\Windows\System32 ecc ecc ecc.
Meno male che alle medie crackavo i videogiochi su DOS.


FASE 6 - COMPILAZIONE
difficoltà ++
livello di pazienza: atarassia zen
Ora che finalmente ho ottenuto l'accesso al diario non mi resta che compilarlo. Peccato che le funzioni del diario siano nascoste da titoli simili a quelli che i designer danno alle cose per non farle sembrare troppo triviali... le attività vanno registrate sull'agenda, validate sul diario e la percentuale di ore date/dovute compare sul cruscotto.
Esiste un piano di studio che ci informa quali materie dovremmo svolgere per quanti crediti e se si tratta di attività professionalizzanti (P) di formazione (F) o di formazione a distanza (FD). Ma si dimentica di specificare a quante ore corrisponde un CFU per ogni tipo di attività e che le attività di formazione vanno registrate mentre quelle di formazione a distanza no. Per di più la differenza tra le materie è di difficile comprensione: in cosa si distinguerà mai Medicina Interna 1 da Medicina Interna 2 e Medicina Interna 3? Quando avremo fatto una e quando l'altra?
Per finire l'host del server probabilmente è ubicato a Paperopoli così è tutto di una lentezza esasperante. Da quando clicchi su salva a quando l'attività viene registrata fai in tempo a mettere su il caffè, farti una chiacchierata con il vicino dalla finestra, rispondere a 34 messaggi su whatsapp, bere il caffè e quando torni c'è ancora il simbolo di caricamento in corso.

In queste circostanze ogni strategia per accorciare i tempi è vitale. Ho scoperto così che:

1- si possono copiare le attività da un giorno all'altro ma solo all'interno della settimana, copiare la lezione del martedì al martedì successivo è impossibile.

2- a caricare una singola attività si impiegano circa 80 secondi, ma a copiarla da un giorno all'altro solo 30.

3- esiste una freccetta bianca su sfondo panna che permette di navigare da una settimana all'altra senza passare dalla visualizzazione mensile, il che consente di risparmiare circa un minuto per settimana, quindi ben 52 minuti sul totale.

4- la funzione copia non vale per le APO (attività professionalizzanti obbligatorie, come leggere gli ECG, fare le ecografie, firmare le cartelle e così via). Quindi conviene inserirle ogni lunedì.

5- a passare da una settimana all'altra con questo metodo ci si mettono 30 secondi quindi caricare un mese con una sola attività richiede circa 17 minuti, se la connessione non si pianta. Per l'intero anno ci vogliono circa 4 ore e poi restano le attività varie che non si possono copiare da una settimana all'altra, come le lezioni.

Ma soprattutto

6- andare a dormire all'1 di notte il venerdì sera dopo aver compilato 10 mesi di diario elettronico è improvvisamente balzato ai primi posti della classifica della sfiga mondiale nerd, scalzando i campionati mondiali di lancio del telefonino, le canzoni klingon e perfino le nozze Jedi in Scozia.



giovedì 10 aprile 2014

PERCHE' (FORSE) LA CULTURA GENERALE NON E' DA BUTTAR VIA


E' tempo di test d'ingresso e no, non mi addentrerò nella polemica su Chomsky o Hobsbawm (o Hobsbawn che dir si voglia). Nè tanto meno su o-mio-dio-hanno-messo-una-N-al-posto-di-una-M-inducendomi-in-errore-RICORSO!.
Ho già detto la mia anni fa sul test di medicina e non intendo ripetermi, anche perchè continuo a pensarla più o meno allo stesso modo.
Oggi mi lamenterò invece della mia vita quotidiana, fatta di cartelle, referti, verbali di pronto soccorso e di linguaggio tecnico, amichevolmente detto "medichese".

Contrariamente a quanto si pensa, medicina non è una facoltà esclusivamente scientifica. Una buona fetta del nostro lavoro, infatti, consiste nel comunicare col prossimo: con i colleghi per capirsi e con i pazienti nel tentativo di farsi capire (ma non troppo). Per fare ciò è necessario avere una conoscenza adeguata del su citato linguaggio tecnico, ma diciamo che non guasterebbero delle solide basi di italiano.

A questo proposito mi viene sempre in mente quella barzelletta del tipo che va in un allevamento per prenotare una coppia di cani e sul modulo alla voce "razza e quantità" scrive: "Due pastori belghi". Poi rilegge, scuote la testa sconsolato, corregge: "Due pastori belgi". Guarda di nuovo, non sembra convinto. Straccia il modulo, lo compila da capo: "Due pastori belgici". No, eppure stona. Mordicchia la penna e alla fine ha il lampo di genio: "Un pastore belga. Anzi, due."

Il mestiere di medico non rappresenterà più l'elite socio-culturale di una volta, quando 'l dutùr era onnisciente per definizione, ma è pur sempre una figura culturale di riferimento ed è per questo che Mikipedia oggi presenta l'utilissima guida in 5 punti: "Come evitare figure di merda nelle lettere di dimissione: errori comuni e meno comuni del medichese moderno".

1) Ago-canula o ago-cannula? Se va scritto pazienza, tanto si sa che i medici hanno una pessima grafia, basta un numero casuale di ondine in mezzo e via in scioltezza. Ma se si fosse costretti a digitarlo, o pronunciarlo?
Cannula è un derivato di canna, quindi ha due n. Questa è la definizione del dizionario Treccani.

cànnula s. f. [dal lat. cannŭla, dim. di canna «canna»]. – Cannello, cannuccia. In partic., nome dato a strumenti, loro parti o segmenti, di forma più o meno cilindrica, aperti ai due estremi, oppure a tubicini di vario calibro e materiale, usati per varî scopi in chirurgia e tecnica terapeutica; spesso qualificati a seconda degli organi cui sono destinati: ctrachealecesofagea, ecc.


2) Analogamente vaselina o vasellina? Qui la dizione non corretta è quella con la doppia ed è comune, ma non per questo giustificabile. Ce lo ricorda di nuovo il dizionario Treccani, insieme all'interessante etimologia. Di conseguenza le garze sono vaselinate non vasellinate.


vaelina (non corretto vaellina) s. f. [dall’ingl. vaseline, in origine nome brevettato, formato con il ted. Wasser «acqua», il gr. ἔλαιον «olio» e il suff. -ine «-ina»]. – Miscela di idrocarburi paraffinici solidi e liquidi, chimicamente neutra, in forma di massa molle, untuosa, incolore o giallastra, inodore, insapore, stabile all’aria, insolubile in acqua; si ottiene dai residui della distillazione dei petrolî e, pur non essendo assorbita dalla pelle, si usa in farmacia come eccipiente di pomate (cui si aggiunge lanolina, che viene invece assorbita) e inoltre nella fabbricazione di lubrificanti, prodotti antiruggine, creme da scarpe, ecc. V. artificiale, miscela di paraffina solida con olio di paraffina in proporzioni varie; olio di v., altro nome dell’olio di paraffina; v. ossidata (o ossigenata), prodotto di ossidazione della vaselina che si emulsiona abbastanza facilmente con l’acqua e viene assorbito dalla cute, usato anche come lubrificante.


3) Si può risolvere il problema definendo il paziente eutermico, ma se si decide per apiretico allora deve esserci una T sola. Perchè? Perchè viene da pyretòs e non da derivati di pratto o da sostantivi uscenti in -ekto. Per questa spiegazione scomodiamo addirittura l'Accademia della Crusca.


«L'unica forma corretta è apiretico: si tratta di un termine ricavato modernamente (XIX sec.) dal greco apýretos 'senza febbre', composto di a- con valore negativo (il cosiddetto alfa privativo) e pyretós 'febbre, forte calore' (la radice è la stessa di pŷr, pyrós 'fuoco', e si ritrova in pirite, piromane, pirosi ecc.). Perché la doppia t? Probabilmente per analogia con le numerose parole - anch'esse di origine greca - uscenti in -ettico: apoplettico, asettico, dialettico, epilettico, scettico. Molti sono oltretutto i termini che condividono il comune àmbito medico e questo può aver favorito l'indebito allineamento di apiretico alla serie con -tt-».

4) L'errore di gran lunga più comune e il più insopportabile, tanto che mi è costato un litigio con un paio di specializzandi e uno strutturato anni fa... la peristalsi è torPida non è assolutamente mai e per nessun motivo torBida. Ogni volta che sento quest'ultima dizione non posso fare a meno di immaginare uno stagno putrido al posto dell'addome che mi suscita conseguenti movimenti emetici antiperistaltici. Ebbene sì, torpido è un aggettivo italiano con un suo lemma nel dizionario:

tòrpido agg. [dal lat. torpĭdus, der. di torpēre «essere torpido»]. – 

1. Che ha temporaneamente perduto la prontezza dei riflessi e dei movimenti, riferito al corpo o a parti del corpo: avere le membra torpide. Più genericam., lento, pigro, fiacco, riferito sia ai movimenti del corpo sia alle facoltà intellettuali e morali:mente, intelligenza t., ingegno t., volontà t.Torpido per natura, e impazïente D’ogni pastoia (Giusti); i poliziotti oziavano, con l’occhio t. che non vede niente (I. Calvino). Con valore attivo, poet., che rende torpido: a lui nel reo cuore germoglia Torpida la selva di barbarie (Carducci). 

2. Nel linguaggio medico, di ulcera o altra lesione o manifestazione patologica che mostra scarsa tendenza a guarigione. ◆ Avv. torpidaménte, con torpidezza o torpore: starsene torpidamente disteso al sole.


5) Non strettamente correlato all'ambito medico ma diffusissimo e sempre più odioso, si dice "LA settimana prossima", non "settimana prossima". Secondo la solita accademia della crusca le ragioni di questo orribile modo di dire sono due: l'analogia con l'inglese (next week, next month, last year) e l'imitazione di espressioni apparentemente simili in italiano (Giovedì prossimo). E' vero, in italiano dire il prossimo Giovedì o Giovedì prossimo è la stessa cosa, ma con settimana non funziona. La prossima settimana e la settimana prossima richiedono entrambe l'articolo, proprio come lo scorso anno o l'anno scorso e il prossimo mese e il mese prossimo.

Ora so già che qualcuno obietterà che tra non sapere come si scrive cannula e sapere se Chomsky è mai stato senatore americano o se si è solo occupato occasionalmente di politica c'è un abisso e forse in questo test sarà premiato il perfetto ignorante che la risposta l'ha azzeccata per caso... 

ma, tutto sommato, penso che se facessero più domande così sarebbe meno penoso leggere le lettere di dimissione.


crusca

comorbilità o comorbidità?

http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/caso-instabilit-terminologica-vocabolario-me

plurale di pronto soccorso

http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/pronto-soccorso-linguistico

la settimana prossima
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/omissione-dellarticolo-determinativo-locuzio


solo più
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/solo-pi-unespressione-solo-piemontese

lunedì 24 marzo 2014

arte e malattie

http://www.lastampa.it/2010/01/05/cultura/arte/il-colesterolo-di-monna-lisa-JOvX7rvYuH798yOnWAKvMO/pagina.html

La Gioconda? Probabilmente aveva il colesterolo alto e i trigliceridi alle stelle. E già: se il suo sorriso enigmatico ha ispirato fiumi di inchiostro, se per lei si sono scomodati critici, storici, psicologi, studiosi di esoterismo, pochi si sono soffermati sullo «xantelasma» nell’incavo dell’occhio sinistro, un accumulo di adipe sottocutaneo, e sul lipoma che ingrossa la mano in primo piano, sintomi entrambi di un eccesso di grasso. E se la Madonna del Parto di Piero della Francesca è palesemente incinta, meno esplorato è il gozzo sul suo collo, malattia endemica tra i contadini del Medioevo che bevevano acqua piovana raccolta nelle cisterne. 

Capolavori con l’artrite, con la scoliosi, con la tiroide ingrossata, con i calcoli renali, con il tumore. Capolavori passati al setaccio dagli iconodiagnosti, gli specialisti di una nuova disciplina: medici che si divertono a cercare i sintomi delle malattie su madonne estatiche ed eroi del mito, su putti dormienti e nobiluomini in posa per il ritratto. Un divertissement diventato branca di studi, che vede tra i pionieri in Italia Vito Franco, docente di Anatomia patologica all’Università di Palermo. L’unico ad aver parlato degli acciacchi segreti di personaggi dell’arte all’ultimo Congresso della Società europea di Anatomia patologica. E autore di una ricerca che passa in rassegna un centinaio di opere più o meno famose, dalle sculture egizie ai dipinti contemporanei, raggruppate per tipo di malattia: da quelle osteo-articolari ai disturbi endocrini, dalle malformazioni alle patologie neurologiche, dai problemi di metabolismo a quelli della pelle. 

E l’effetto è sorprendente. Anche i più celebri pezzi sono in grado di rivelare aspetti inediti. «La malattia sta dentro al corpo - dice Vito Franco - non è una dimensione metafisica o sovrannaturale. E i personaggi raffigurati svelano la loro fisicità, ci raccontano della loro umanità vulnerabile indipendentemente dalla consapevolezza del loro autore». Sta tutto nel labile confine tra coscienza e incoscienza dell’artista il gioco più interessante dell’iconodiagnostica. Nell’arte moderna e contemporanea, volti emaciati e corpi sofferti sono strumento espressivo o simbolico. Ma spesso, invece, le malattie dei personaggi restano segrete al loro stesso creatore, che se ne fa portatore inavvertitamente. 

Materiale prezioso per coloro che di malati in carne e ossa ne hanno visitato tanti. E che adesso si lanciano nella sfida di fare una diagnosi senza interrogare il paziente, richiedere analisi del sangue o auscultare il torace. Ecco allora, per esempio, che sull’«Amorino dormiente» di Caravaggio, custodito a Palazzo Pitti, si è scatenata una diatriba scientifica: ha l’artrite reumatoide giovanile o è rachitico? E se il botticelliano «Ritratto di giovane» della National Gallery di Washington emana un’eleganza quasi femminea, di sicuro è malato di aracnodattilia, cioè ha le dita troppo lunghe e sottili, come le zampe di un ragno. La stessa patologia di cui soffre la Madonna del collo lungo del Parmigianino esposta agli Uffizi, antesignana delle donne di Modigliani. La quale, a scorrere il lavoro di Vito Franco, forse era affetta dalla sindrome di Marfan, un disturbo ereditario che colpisce le ossa, i legamenti, gli occhi, il sistema cardiovascolare. 

Nella Scuola di Atene, il dipinto celeberrimo di Raffaello dei Musei Vaticani, il malato è Michelangelo, ritratto in basso a sinistra, seduto sulle scale, curvo, con le ginocchia gonfie e tumefatte. 

«Sembrano indicare - dice Franco - un eccesso di acido urico, tipico di chi soffre di calcolosi renale. E d’altronde lui per mesi e mesi si nutrì solo di pane e vino, lavorando giorno e notte al suo capolavoro, la Cappella Sistina». E che dire del «Las Meninas» di Velazquez custodito al Prado? Ebbene, la famiglia di Filippo IV, oltre a essere una miniera di simboli e di raffigurazioni, è anche un bel catalogo di malattie: la piccola Margherita, al centro della scena, avrebbe la sindrome di Albright, una patologia genetica rara che si manifesta con la pubertà precoce, la bassa statura, il gozzo. E non se la passano meglio, sulla destra, Maribarbola e Nicolasito, affetti entrambi da nanismo. 

Nella sala d’aspetto virtuale di Vito Franco c’è pure una sfilata di malattie e disfunzioni sessuali: è il caso di uno dei primi ermafroditi mai ritratti (Sant’Onofrio, in un affresco dell’ottavo secolo nella chiesa copta della Cappadocia) e dell’inquietante «Mujer Barbuda» di José de Ribera, dove un uomo con barbone nero e cappello porge il seno a un lattante. 

Ci sono anche casi in cui l’iconodiagnosta riesce a visitare il suo paziente due volte, e a distanza di tempo: è il caso di Dick Ket che nel 1939 si ritrae con le dita a bacchetta di tamburo, segno di una grave patologia polmonare. «In un dipinto di sette anni prima - dice Franco - ha le dita meno sformate ma presenta un turgore anomalo delle vene del collo, segno della stessa sindrome ma in fase iniziale». 

Una relazione, quella tra arte e malattia, che diventa centrale se il paziente è l’artista, se è lui a soffrire, se è lui a guardare e ritrarre il mondo con gli occhi alterati dal dolore: succede in Van Gogh, in Frida Kahlo, e pure in Toulouse Lautrec, figlio di cugini di primo grado, molto basso, con le orecchie a punta, il mento piccolo, le dita corte. Creatori di grandi opere. E di casi clinici complessi.  

sabato 22 marzo 2014

NEUROSCIENZE A TATOOINE: PERCHE' LA LUNA ALL'ORIZZONTE SEMBRA PIU' GRANDE?



Avete presente quelle sere di luna piena, quando il nostro satellite è basso sull'orizzonte ed è così grande che sembra di poterlo toccare? Quanti hanno provato a tirare fuori un telefonino salvo accorgersi che nella foto la luna è molto più piccola di come sembra dal vivo?

No, non siete pazzi, ma è inutile affannarsi con zoom e teleobiettivi perchè si tratta di un'illusione ottica che fa impazzire i neuroscienziati della visione da qualche secolo.

Forse qualcuno si chiederà perchè ho deciso di affrontare proprio questo argomento che non c'entra nulla col resto del blog, e anche se non ve lo siete chiesto vi beccate la storiella lo stesso. Correva l'anno 2010 e mi trovavo in vacanza a Malaga con un'amica e i suoi compagni di erasmus, una sera, mentre degustavamo paella sul lungomare, sorge dall'acqua una luna enorme che gli obiettivi delle macchine fotografiche non riescono (ovviamente) ad immortalare. Mi lancio lì per lì in una spiegazione che ricordavo di aver letto su un libro di neuroscienze sul perchè quella della luna all'orizzonte altro non fosse che un'illusione ottica o meglio una diretta conseguenza del modo che il nostro cervello ha di percepire le distanze e le dimensioni degli oggetti e divento così per una decina di persone "quella-tipa-strana-della-teoria-della-luna".
Poichè questo insignificante episodio mi è stato ricordato di recente, mi è venuta la curiosità di capire quanto ci fosse di vero nella spiegazione del mio libro di fisiologia ed è così che ho trovato questo articolo.

Per tutti quelli che non hanno voglia di impiegare ore di tempo per leggerlo e capirlo vi offro una spiegazione rapida che vi farà fare una splendida figura a cena coi suoceri o sembrare sociopatici al primo appuntamento con una ragazza ("Guarda che luna grande, amore, non è romantico?" "Beh, vedi in realtà ti sembra che sia grande, ma dipende dalla legge di Emmert").
Pronti? Allora incominciamo.

La distanza tra l'osservatore e la luna è sempre la stessa, indipendentemente dall'altezza di quest'ultima sull'orizzonte, è però esperienza comune che sia percepita come più grande quando è più bassa sull'orizzonte, come nella figura a destra in cui i cerchi vuoti sono le dimensioni reali e i pallini pieni le dimensioni percepite.

Perchè?


Esistono almeno due teorie su come il nostro cervello calcola dimensione e distanza degli oggetti. La prima, detta teoria della distanza apparente si basa sulla legge di Emmert secondo la quale la dimensione percepita di un oggetto è proporzionale alla distanza percepita, quindi la luna all'orizzonte sembra più grande perchè sembra più lontana. Una legge analoga esiste per gli oggetti comuni e recita "la dimensione lineare percepita di un oggetto è inversamente proporzionale alla distanza dell'oggetto dall'osservatore", il che all'inverso significa che da un oggetto di dimensioni lineari note stimerò la distanza in base alle dimensioni percepite. Nella vita quotidiana è così intuitivo che non ce ne accorgiamo, ma appena perdiamo ogni punto di riferimento per un momento ci lasciamo ingannare.


Ad esempio nella foto accanto (ah, che bei ricordi il viaggio di laurea!) si può presumere che il gruppo sia costituito da persone alte in media 170 cm e sia quindi molto più lontano dall'osservatore della ragazza in primo piano, anche se per un istante abbiamo pensato di essere a Lilliput...

Per la luna non è altrettanto facile in quanto non abbiamo esperienza diretta delle sue dimensioni. Non sappiamo quanto è grande da vicino per poter calcolare la distanza sulla base delle dimensioni percepite. Sappiamo solo che l'orizzonte è molto lontano perchè gli oggetti di cui conosciamo le dimensioni ci appaiono molto piccoli, di conseguenza la luna all'orizzonte deve essere molto lontana e quindi molto grande. Viceversa quando è alta nel cielo e priva di punti di riferimento le attribuiamo una distanza standard che è minore dell'orizzonte e quindi la vediamo più piccola.
C'è un problema: la luna all'orizzonte ci sembra sì molto grande, ma anche più vicina di quando è allo zenith, da qui nasce la seconda teoria che è l'esatto opposto della prima e recita: la distanza della luna viene desunta dalla sua dimensione percepita. Ovvero la luna all'orizzonte sembra più vicina perchè la vediamo più grande. Il fenomeno chiamato a giustificare questa teoria è la micropsia accomodativa, secondo il quale quando guardiamo degli oggetti in mezzo al cielo senza punti di riferimento tendiamo ad accomodare di più di quando guardiamo verso l'orizzonte e questi ci appaiono così più piccoli. Dalle minori dimensioni percepite, secondo questa teoria, deriviamo una distanza maggiore.

Come stabilire quale teoria è corretta?

Gli autori dell'articolo hanno costruito allo scopo un ingegnoso sistema di specchi e dischi all'interno di un visore tridimensionale simile al view master (per i vecchi che ricordano quest'epoca pre-Nintendo 3Ds e pre film 3D). 
Hanno sottoposto a 4 soggetti per 25 volte l'immagine di un paesaggio con due lune delle stesse dimensioni, una fissa (di riferimento) e una con disparità binoculare variabile, il che si traduce, nel visore, in un avvicinamento o allontanamento apparente della luna mobile rispetto a quella di riferimento*. Hanno poi chiesto agli osservatori di segnalare il momento in cui la luna mobile sembrava essere posta a metà strada tra l'osservatore e la luna di riferimento in due diverse condizioni: con un cielo omogeneo e con un paesaggio collinare sullo sfondo.
un paesaggio con due lune può evocare una sola cosa...
Secondo la teoria della distanza apparente, la luna all'orizzonte sembrerà più lontana, quindi la disparità binoculare registrata per la luna mobile posta a metà strada tra l'osservatore e il riferimento sarà minore di quella registrata nel caso della luna alta nel cielo  (ricordo che a disparità maggiore corrispondono oggetti percepiti come più vicini).
E' quello che gli autori dello studio hanno osservato, la disparità binoculare registrata dai soggetti è 3,4 volte maggiore per la luna allo zenith rispetto a quella all'orizzonte.
Se volete una pessima riproduzione bidimensionale di questo effetto gli autori lo forniscono, con relativa spiegazione, a questi link (orizzonte e zenith).

Tra le due teorie la più valida sembra quindi la prima, quella della distanza apparente, secondo la quale la luna all'orizzonte sembra più grande perchè le attribuiamo una distanza maggiore.
Questo pone però un secondo interrogativo, ovvero perchè a tutti noi la luna all'orizzonte oltre che più grande sembra più vicina?
Perchè una volta che ne abbiamo percepito le dimensioni sulla base della distanza facciamo un ragionamento inverso e deduciamo la distanza dalle dimensioni. Gli stessi autori l'hanno dimostrato sottoponendo a 10 soggetti immagini statiche di paesaggi o sfondi omogenei con lune più grandi o più piccole e nel 90% dei casi le lune più grandi sono state definite come più vicine.

Che sia un'errata interpretazione è dimostrato da un altro esperimento sempre effettuato con il visore tridimensionale: all'aumentare della disparità binoculare l'oggetto sembra più vicino e più piccolo indipendentemente dallo sfondo. Nel caso specifico con un'alta disparità binoculare la luna sembra un piccolo disco da hockey a qualche metro di distanza dal nostro naso e con una bassa disparità binoculare sembra un satellite enorme a una distanza stratosferica. Tutto ciò sia in presenza sia in assenza di punti di riferimento sullo sfondo. Per concludere in bellezza gli autori confutano anche la legge di Emmert per le grandi distanze, dimostrando che in assenza di rilevante disparità binoculare il rapporto dimensioni/distanza non è affatto direttamente proporzionale e una piccola variazione delle dimensioni percepite corrisponde ad una rilevante differenza nella percezione delle distanze, in particolare una differenza dell'8% nelle dimensioni del disco sposta la luna da una distanza di 3 Km a una di 60 metri.
E' (più o meno) tutto, d'ora in avanti, grazie ai due folli Kaufman, quando guarderete la luna piena sopra al Monte dei Cappuccini potrete sentirvi un po' Sheldon Cooper e rovinare il momento romantico a tutti i presenti.

*Questa illusione di tridimensionalità si ha perchè le immagini percepite dai due occhi sono tanto più diverse quanto più l'oggetto è vicino all'osservatore. Potete fare una prova mettendo il pollice davanti a voi, prendendo un punto di riferimento più lontano e chiudendo alternativamente l'occhio destro e l'occhio sinistro. E' uno dei tanti modi che ha il cervello di intuire la distanza degli oggetti nello spazio, nonchè quello che viene sfruttato nei film in 3D: si usano due telecamere poste ad una distanza pari a quella interoculare e un metodo qualunque (come lenti polarizzate in modo diverso) per proiettare entrambe le immagini sullo schermo e far sì che ciascuna arrivi all'occhio corrispondente.





domenica 2 febbraio 2014

LIP DUB: studiare medicina nuoce gravemente alla salute mentale

Il lip dub nasce nel 2006, quando questo tizio non particolarmente bello ebbe per caso l'idea di riprendersi con un cellulare dalla pessima risoluzione mentre camminava per strada cantando una canzone con gli auricolari del lettore mp3 nelle orecchie e poi di caricarla su vimeo, di cui è cofondatore. Come spiegazione diede la seguente:
"I walked around with a song playing in my headphones and recorded myself singing. When I got home I opened it in iMovie and added an MP3 of the actual song and synchronized it with my video. Is there a name for this? If not, I suggest 'lip dubbing'.

Alcuni studenti del ridente paesino di Furtwangen im Schwarzwald in Germania, considerate le innumerevoli e variegate occasioni di svago offerte dal borgo natio decisero nel 2008 di produrre il primo lip dub universitario.

Da quel momento la moda è esplosa e si sono codificate delle regole del genere. Gli autori/attori principali sono studenti universitari, il video deve essere un ridoppiaggio di una canzone e solitamente prevede una steadycam e una ripresa in single shot attraverso l'università stessa. In genere, soprattutto se sono moderni campus del Nord America, quest'ultima parte provoca come la gastrite nello spettatore italiano... Provate ad esempio con questo lip dub, celeberrimo, girato nell'Università di Montreal, Quebec.

Cosa ha fatto il VI anno della mia facoltà, la classe 2008-2014 di Medicina di Torino?

Noi ci avevamo provato a festeggiare l'ultimo giorno di lezione in modo originale, ma loro hanno davvero pensato in grande. Grazie all'idea di un rappresentante intraprendente e con l'aiuto di un fratello aspirante regista e di attrezzatura semi-professionale stanno tentando di passare alla storia.
Come? 
Giudicate voi.




Il video ha impegnato un centinaio di persone per una trentina di ore nell'arco di un mese e, anche se ottenere gli spazi non è stato facile come in America, il risultato non si è fatto attendere: una serata di anteprima particolarmente riuscita e più di diecimila visualizzazioni ad una settimana dalla pubblicazione.

E un articolo, per chi volesse conoscere alcuni retroscena!


giovedì 23 gennaio 2014

viaggio al termine della burocrazia.
alla ricerca delle divise.
in un paese normale, dove ogni anno una nuova ondata di specializzandi entra a lavorare in un grosso ospedale

Oggi 23 gennaio 2014 è un grande giorno. Un giorno da segnarsi col circoletto rosso sul calendario. Finalmente dopo 5 mesi e 12 giorni dal mio ingresso in specialità ho la divisa dell'ospedale.

Ecco più o meno come è andata.


domenica 19 gennaio 2014

primo tirocinio

ho visto una ragazza di 15 anni stare maluccio poi male, poi meglio, poi così così, poi molto male. Sono stata assalita dalla madre in ansia, l'ho vista piangere nel corridoio, poi sono migliorate tutte e due, poi la ragazza è stata di nuovo male, poi molto meglio e alla fine si è affezionata tanto da non volerci salutare quando abbiamo finito il tirocinio.

Ho visto un fragile vecchietto con un cancro che non sapeva di avere arrivare con 4 drenaggi su una barella per le complicanze operatorie ed andarsene sulle sue gambe col suo cancro e senza i suoi baffoni "sa dottoressa, avevo dei bei baffi! Ma me li han fatti tagliare prima di andare in sala operatoria"

Ho visto una 92enne che andava in bicicletta e curava l'orto di casa sua con una sorella di 90 anni, una figlia di 68, un figlio di 71 e un altro figlio "che è partito con un aereo per non tornare mai più", un affermato ginecoloco con la passione per il volo schiantatosi alla guida di un turistico.

Ho visto due ragazzi della mia età vegliare il padre moribondo

Ho sentito la storia di un'egiziana da fare invidia a una telenovela: infanzia con la matrigna cattiva, ricerca della vera madre che muore per un intervento appena avevano iniziato a vivere assieme, bische clandestine, locali, fidanzati poco raccomandabili con i macchinoni e per finire un centro estetico a ivrea

ho riso alle battute di un ex criminale incredibilmente simile a totò

ho finto di credere che l'89enne del letto 21 avesse prenotato una crociera dopo le dimissioni

ho spiegato ad un ingegnere col macbook e il pigiama di seta il metodo di riva-rocci per la misurazione della pressione.

venerdì 10 gennaio 2014

DISCORSI IN CORSIA

Parte del fascino dell'ospedale sta nell'estrema variabilità delle persone ricoverate e delle loro storie. Il mondo ti passa a fianco e tu non devi fare altro che registrare con gli occhi la sua stravaganza.
Questo è un minimo estratto delle conversazioni più assurde degli ultimi anni.

Paziente biascicante pressocchè inintellegibile, dai suoi discorsi estrapoliamo qualche frase qua e là
"Io lavoravo nei servizi speciali!"

"Perchè voi credete che sia facile pilotare un aereo, ma le selezioni sono durissime! Ti mettono prima tutti in una centrifuga che gira velocissimo e poi devi scendere e camminare diritto"
"Immagino non sia facile" gli do corda io
"Eh no, infatti di 700 che si sono presentati ne hanno selezionati solo 50" e lui a quanto pare era uno di quelli.



Alcolista ricoverata per motivi internistici, per evitare la crisi di astinenza e controllare l'introito alcolico riducendolo gradualmente lasciamo che la madre le porti il liquore che le sarà somministrato a dose controllata con il resto dei farmaci, così la sua terapia, tra le altre cose, riporta GIN x 3 (30 ml h. 8.00; 14.00; 20.00). Infermiera: "Scusate ma questo GIN che avete scritto in terapia è una sigla? Perchè non so dove prenderlo, sul prontuario non lo trovo!"




"Lo sa? Io giocavo a calcio balilla con Aldo Moro! Ma voi sapete chi è Aldo Moro?"
"Sì, certo!"
"Solo che lui poi è stato più fortunato, è diventato più famoso di me!"
...ora non so che concetto di "fortuna" abbia, ma non è che poi abbia fatto tanto una bella fine...






Dexter si preoccupa dell'effetto del cortisone
paziente di circa 170 kg, col BMI e i doppi menti di dexter, il locandiere alieno di Star Wars episodio 2 (per i meno nerd tra i miei lettori trovate una comoda fotografia qui accanto).

Ricoverato per insufficienza respiratoria acuta ed edema polmonare, diuretizzato e ventilato, in pochi giorni vanta un raro successo terapeutico ed è in forma discreta.

Lo visitiamo, auscultiamo i polmoni, misuriamo pressione e saturazione, scriviamo in cartella.

"Dottore posso farle una domanda?"

"Mi dica!"
"Ma per caso mi avete dato del cortisone in questo ricovero?"
"Sì, all'inizio è possibile... per i polmoni"

"Ah ecco"
Si guarda con aria sconsolata l'enorme pancione
"Infatti ho notato che mi sono gonfiato!"




Anziana e distinta signora classe 1922 "Eh sa dottore è successo che nel cuore della notte mi sono svegliata intontita e ho pensato... certo che il Gin Tonic di ieri sera lo devo aver caricato un po' troppo! Invece era un ictus"