Il mio lavoro, se di lavoro si tratta, è un po’ strano; assomiglia a quello dei manichini nei grandi magazzini: vedi tanta gente che passa, ma raramente i clienti si fermano a guardare i manichini, io invece sono sempre al centro dell’attenzione.
Ora posso dirvelo, lavoro in uno die più famosi musei del mondo: gli uffizi di Firenze. Insomma, il mio compito è di stare tutto il giorno ferma a lasciarmi guardare da quelli che passano, e siccome non ho altro da fare, osservo.
Con l’esperienza sono diventata molto abile e posso vedere tutta la sala senza farmi scorgere, non come la mia collega Monna Lisa che ogni tanto gira gli occhi: si sono dovuti persino inventare la storia dell’illusione ottica per giustificarla, ma non è vero niente!
Io, invece, sono una vera esperta: non muovo mai un muscolo, ma vedo tutto. E’ interessante vedere le persone che passano, ce ne sono di tutti i tipi.
C’è quello con in mano una guida che si sofferma solo sui quadri che vi sono descritti e non vede con i suoi occhi, ma con quelli dell’autore della guida. Poi c’è la famigliola, formata di solito da mamma, papà e due bambini piccoli, un maschietto e una femminuccia; il papà cerca di spiegare ai figli i quadri e loro vogliono salirgli sulle spalle per vedere meglio, la madre, intanto, vaga per la sala esclamando ogni tanto: “Guarda che carino questo! Che labbra delicate che ha questa signora!” e commenti simili. Più di una volta sono stata tentata di rispondere grazie ai complimenti di queste mamme, ma poi ho rinunciato, avrei seminato il panico!
Poi ci sono quelli che non si soffermano più di trenta secondi ad osservare un quadro, e solo quelli grossi, che quelli piccoli, passando, non li notano neanche, più volte i miei colleghi dei quadri piccoli si sono offesi al passaggio di questi scattisti. Per fortuna, però ci sono gli sfaccendati, che non sanno come passare il pomeriggio o gli hanno regalato il biglietto e vagano, in ogni sala si fermano mezz’ora, guardano tutti i dipinti, leggono il cartellino, si avvicinano per osservare la pennellata e, alla fine, ammirano anche l’estintore e l’interruttore della luce.
Ci sono le scolaresche, che sono le più spassose: di solito l’insegnante di storia dell’arte cerca di spiegare fin nei minimi dettagli ogni quadro, l’attenzione generale dura, in media, fra i cinque e i sette secondi, poi i più interessati rimangono a sentire, altri iniziano a raccogliersi in gruppetti e a fare commenti sarcastici sul quadro o a parlare di tutt’altro. E’ grazie a loro che ho imparato come funziona il mondo di fuori, ora so cos’è un cellulare un impianto HI-FI, conosco i gruppi musicali più in voga, anche se non li ho mai sentiti, chissà se useranno ancora il cembalo?
Ci sono anche delle scolaresche anomale, dove sono gli studenti che cercano di esporre ai loro compagni; di solito non sono molto preparati e cercano di sbirciare gli appunti che hanno preso, oppure sanno tutto a memoria perché l’hanno letto sull’enciclopedia e sono i primi a stupirsi di ciò che vedono.
Vengono spesso anche scolaresche straniere e grazie a loro ho imparato quasi tutte le lingue del mondo. Ci sono anche le famiglie che hanno la sventura di avere uno dei genitori esperto d’arte; questi parla e i figli sono costretti a stare a sentire, non si possono staccare come le classi e non possono parlare d’altro fra loro, poverini, mi fanno un po’ pena!
Altre persone interessanti sono le coppiette. Ci sono coppiette di tutti i tipi: giovanissime, giovani e non più giovani. Ci sono le coppie di ragazzini, che di solito facevano parte di una comitiva, ma si sono distaccati per godere di un po’ d’intimità e si baciano guardando i dipinti solo di sfuggita. Ci sono gli sposi novelli, magari in viaggio di nozze, che si tengono per mano e sussurrano parole dolci, non si soffermano mai sui quadri che raffigurano battaglie, solo su quelli che parlano d’amore.
E poi ci sono i vecchietti, che cari, arrivano, piano piano, si fermano, guardano, si guardano, ricordano… ricordano quando anche loro erano giovani e si erano baciati davanti a quel quadro… poi se ne vanno.
Ci sono anche gli artisti, o gli apprendisti tali, che vengono, armati di matita e blocco da disegno, si siedono su una panca anche per tre o quattro ore e disegnano, disegnano, non ho mai visto il risultato però, peccato! Chissà se vengo somigliante?
E poi ci sono i patiti della fotografia, che non si accontentano di vedere per ricordare, ma devono assolutamente fotografare. Allora cercano di ingegnarsi per fare le foto senza flash: si appoggiano sulle spalle di un volontario, su una colonna, su un muro. Alcuni si portano persino il cavalletto. A questa categoria appartengono in primo luogo i giapponesi; devono andare pazzi per la allegre foto di famiglia, quegli ometti! Arrivano comitive di centinaia e centinaia di nipponici armati di fotocamera digitale e iniziano a fare foto di gruppo su foto di gruppo, con i quadri come sfondo.
E infine c’è Lui.
E’ un bel ragazzo, tanto che appena è entrato le tre grazie, qui a fianco, si sono tirate delle grandi gomitate e hanno assunto una posa più attraente. Ma Lui non ha occhi che per me, ormai è un mese che viene, ogni giorno, al mattino, si siede sulla panca davanti al mio quadro e sta fermo. Mi guarda.
Non smette fino alla sera, a ora di chiusura.
Secondo le tre chiacchierone qui a fianco è innamorato di me. Ma con tanti bei quadri che ci sono figurarsi se…
Basta. Ho deciso. Domani gli parlo. Non penso che sia un tipo impressionabile, probabilmente gli sembrerà perfettamente normale che la Primavera parli. Chissà, forse ne nascerà una bella amicizia.
Ehi, voi tre, cos’avete da ridere?
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