Non c’è anno in cui a medicina non si riapra la discussione aule storiche vs nuovi edifici futuristici. I SOPRA (sostenitori del progresso nelle aule) ergono a proprio baluardo alcune considerazioni inoppugnabili, le aule moderne (vedi biotecnologie) hanno:
Entrare a biotecnologie mi faceva pensare di essere in un film americano, fino alle scale quando prevaleva la sensazione di trovarsi in un parcheggio in costruzione, cemento grigio tutto attorno e nient’altro. Le aule sono comode sì, perfette per le conferenze, ma poco didattiche: chi ha provato a parlare con un professore messo tre gradini più in alto con la cattedra che a te arriva al mento e lui che si sporge da sopra stile Polifemo sa di cosa sto parlando. Certo, facilitava i test psicologici sugli insegnanti dividendoli subito in 2 categorie: quelli che quando ti avvicini scendono e si portano ad altezza occhi e quelli che restano sul loro trespolo-trono e ti fanno sentire in inferiorità.
Queste aule poi han messo in crisi un’intera categoria di professori, gli Itineranti: quelli che non riescono a parlare da dietro la cattedra, ma devono accompagnare ogni ragionamento con un adeguato movimento e camminano su e giù davanti alla lavagna, salgono e scendono le scale interpellando questo o quello studente. Difficile passeggiare in un cinema, impossibile indicare con precisione uno studente a cui chiedere una risposta, ne sa qualcosa Hirsch che dopo una settimana di “Tu maglietta verde” si è trovato di fronte duecento indistinguibili studenti vestiti di grigio-tappezzeria, primo caso di auto-uniforme della storia.
Veniamo ora alle aule storiche: ognuna ha una sua peculiarità. Prendiamo biochimica con la sua cattedra di 12 metri l’utilità della quale resta misteriosa, a parte costringere i professori a strane evoluzioni per spostarsi e gli studenti a improbabili acrobazie per attraversare l’aula.
Prendiamo anatomia, l’emiciclo così bello da essere richiesto per i film una volta all’anno, un tempo era alta il doppio, quasi un parlamento. L’acustica è così perfetta da non richiedere un microfono e ci sono banchi con incisioni risalenti gli anni ’20 gli stessi banchi dove molti dei nostri professori hanno sonnecchiato (se non dormito profondamente) come generazioni e generazioni di studenti fino a noi.
Prendiamo l’aula di chirurgia con i suoi ottocenteschi dipinti e mezzibusti e le targhe dalla retorica dannunziana.
Prendiamo fisiologia con le sue sculture e targhe che ricordano professori celebri, fondatori dell’istituto e studenti scomparsi prematuramente. Le balconate superiori furono chiuse in seguito a uno scherzo goliardico di trent’anni fa, quando alcuni studenti bersagliarono con uova piene di inchiostro professori e studenti per poi darsi alla fuga dalle comode porte separate. L’aula dove ogni caduto è perso e si tramanda l’epica avventura dello studente a cui cadde il libretto tra le assi del pavimento. Fu recuperato insieme a preziosi documenti persisi nei secoli e forse cadaveri occultati, dopo ore di lavoro del falegname.
Trovo rassicurante sostenere l’esame in un’aula dove chi ti interroga è stato sottoposto a giudizio prima di te, e dove i ruoli si potranno invertire.
Trovo più epico di un campus americano precipitato per sbaglio in via nizza varcare l’alto portone di legno di corso massimo e ritrovarmi ai piedi di una scalinata di marmo con i corridoi in mosaico e i soffitti affrescati.
Trovo che la sala settoria con i tavoli di pietra e gli sgabelli di ferro sia l’ambiente giusto per le esercitazioni di anatomia più di quanto non potrebbe esserlo una sala operatoria dalla chirurgica asetticità.
Trovo che scoprire passaggi che uniscono un edificio all’altro attraverso cantine buie e polverose dia una infantile soddisfazione da esploratore.
Certo, quando il proiettore si spegne improvvisamente perché il cavo che attraversa l’aula nascosto sotto le gradinate di legno non fa contatto mi lamento come tutti, ma è l’irrinunciabile sacrificio da pagare alla poesia.
- sedili più comodi
- proiettori e microfoni funzionanti
- non rischiano di crollare da un momento all’altro
- sono o potrebbero essere tutte vicine e addirittura si potrebbe restare nella stessa aula per anni senza spostarsi di ora in ora.
- le aule storiche sono più scomode (non sempre in ogni caso) ma più poetiche e non claustrofobiche.
- microfoni e proiettori con un’adeguata manutenzione funzionano anche lì (e c’è la linea wireless che a biotech ancora latita)
- cambiare aula è divertente, fa associare ogni prof al suo ambiente ed evita la formazione di gruppetti fissi perché se ciascuno ha il suo posto preferito in ogni aula ne deriva che cambierà vicini più volte al giorno e non manterrà sempre gli stessi.
Entrare a biotecnologie mi faceva pensare di essere in un film americano, fino alle scale quando prevaleva la sensazione di trovarsi in un parcheggio in costruzione, cemento grigio tutto attorno e nient’altro. Le aule sono comode sì, perfette per le conferenze, ma poco didattiche: chi ha provato a parlare con un professore messo tre gradini più in alto con la cattedra che a te arriva al mento e lui che si sporge da sopra stile Polifemo sa di cosa sto parlando. Certo, facilitava i test psicologici sugli insegnanti dividendoli subito in 2 categorie: quelli che quando ti avvicini scendono e si portano ad altezza occhi e quelli che restano sul loro trespolo-trono e ti fanno sentire in inferiorità.
Queste aule poi han messo in crisi un’intera categoria di professori, gli Itineranti: quelli che non riescono a parlare da dietro la cattedra, ma devono accompagnare ogni ragionamento con un adeguato movimento e camminano su e giù davanti alla lavagna, salgono e scendono le scale interpellando questo o quello studente. Difficile passeggiare in un cinema, impossibile indicare con precisione uno studente a cui chiedere una risposta, ne sa qualcosa Hirsch che dopo una settimana di “Tu maglietta verde” si è trovato di fronte duecento indistinguibili studenti vestiti di grigio-tappezzeria, primo caso di auto-uniforme della storia.
Veniamo ora alle aule storiche: ognuna ha una sua peculiarità. Prendiamo biochimica con la sua cattedra di 12 metri l’utilità della quale resta misteriosa, a parte costringere i professori a strane evoluzioni per spostarsi e gli studenti a improbabili acrobazie per attraversare l’aula.
Prendiamo anatomia, l’emiciclo così bello da essere richiesto per i film una volta all’anno, un tempo era alta il doppio, quasi un parlamento. L’acustica è così perfetta da non richiedere un microfono e ci sono banchi con incisioni risalenti gli anni ’20 gli stessi banchi dove molti dei nostri professori hanno sonnecchiato (se non dormito profondamente) come generazioni e generazioni di studenti fino a noi.
Prendiamo l’aula di chirurgia con i suoi ottocenteschi dipinti e mezzibusti e le targhe dalla retorica dannunziana.
Prendiamo fisiologia con le sue sculture e targhe che ricordano professori celebri, fondatori dell’istituto e studenti scomparsi prematuramente. Le balconate superiori furono chiuse in seguito a uno scherzo goliardico di trent’anni fa, quando alcuni studenti bersagliarono con uova piene di inchiostro professori e studenti per poi darsi alla fuga dalle comode porte separate. L’aula dove ogni caduto è perso e si tramanda l’epica avventura dello studente a cui cadde il libretto tra le assi del pavimento. Fu recuperato insieme a preziosi documenti persisi nei secoli e forse cadaveri occultati, dopo ore di lavoro del falegname.
Trovo rassicurante sostenere l’esame in un’aula dove chi ti interroga è stato sottoposto a giudizio prima di te, e dove i ruoli si potranno invertire.
Trovo più epico di un campus americano precipitato per sbaglio in via nizza varcare l’alto portone di legno di corso massimo e ritrovarmi ai piedi di una scalinata di marmo con i corridoi in mosaico e i soffitti affrescati.
Trovo che la sala settoria con i tavoli di pietra e gli sgabelli di ferro sia l’ambiente giusto per le esercitazioni di anatomia più di quanto non potrebbe esserlo una sala operatoria dalla chirurgica asetticità.
Trovo che scoprire passaggi che uniscono un edificio all’altro attraverso cantine buie e polverose dia una infantile soddisfazione da esploratore.
Certo, quando il proiettore si spegne improvvisamente perché il cavo che attraversa l’aula nascosto sotto le gradinate di legno non fa contatto mi lamento come tutti, ma è l’irrinunciabile sacrificio da pagare alla poesia.
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