Cominciamo a chiarire una cosa: ai ciechi dalla nascita non importa di vedere più di quanto a noi potrebbe importare percepire i campi elettromagnetici con le antenne. Spiegare la vista a un cieco è come spiegare la quarta dimensione, semplicemente inconcepibile. Questo perché se anche un cieco si ritrovasse con occhio, retina, nervi e corteccia visiva funzionanti non “vedrebbe” nulla, non saprebbe che farsene di questa valanga di informazioni che gli arrivano e in assenza di una specifica codifica – che va appresa – le ignorerebbe. Se qualcuno di voi ha mai provato ad aprire un’immagine jpeg con un elaboratore di testo può capire quello che intendo: sentire, ascoltare o toccare un’immagine è impossibile.
So che vi starete chiedendo dove voglia andare a parare, quindi vengo al punto: le sensazioni sono elaborazioni dei cervello che decide di codificare una serie di impulsi esterni in base all’esperienza acquisita. In assenza di esperienza non si ha sensazione, ma, e qui viene il busillis, chi ci assicura che la STESSA esperienza provochi la MEDESIMA sensazione in persone diverse?
Prendiamo il senso della vista che è facile da analizzare e da immaginare. Cominciamo con il pensare a un bambino piccolo che gioca con i cubetti (sì, bravi quelli di varie dimensioni e colori che si impilano, in ogni casa ce ne sono). La luce solare colpisce il cubo azzurro, una certa lunghezza d’onda viene rifratta, colpisce la retina del bambino, questo stimola la produzione di un segnale che viaggia fino alla corteccia visiva e qui si attivano una serie di neuroni. Ogni volta che il bambino volge gli occhio verso quel particolare cubetto succede la stessa cosa e gli stessi neuroni si attivano (ovviamente non è proprio così e sto semplificando parecchio me ne scuso con i numerosissimi neuroscienziati che leggono questo pezzo).
Col tempo l’associazione si è fatta stabile cubetto = neuroni = azzurro. L’attivazione di quei particolari neuroni mi dà la sensazione di azzurro.
Fin qui funziona tutto meglio delle coincidenze delle ferrovie teutoniche. Immaginiamo ora che il bambino esca all’aperto e veda il cielo di quell’esatta tonalità del cubetto, si attivano i neuroni azzurri e il cielo sarà azzurro.
Quando il bambino impara a parlare un genitore premuroso gli insegnerà che quel colore si chiama azzurro, ma per quel che ci riguarda potrebbe essere light blue o carriola o scarcagnac che farebbe lo stesso.
Ora, ciò che mi domando è: chi ci assicura che la sensazione prodotta dall’azzurro sia la stessa per il bambino, sua madre, me, Umberto Eco, Barack Obama, Bruce Willis, Pamela Anderson, lo zio Sam, il gatto dei vicini e Spongebob?
Se posso essere relativamente sicura che il gatto dei vicini abbia una sensazione di azzurro diversa dalla mia, chi mi assicura che la mia sia uguale a quella di Obama?
Per questo alla filosofia ho preferitol’approccio scientifico, anzi ho a sensazione che con queste basi di neuroscienze i dibattiti col professore di filosofia del liceo che mi dava della materialista-empirista sarebbero stati di gran lunga più interessanti. Purtroppo la vita non si vive mai nell’ordine giusto, ma di questo problema mi occuperò un’altra volta.
Per tornare all’azzurro problema la questione è tutt’altro che risibile, si tratta di capire:
So che vi starete chiedendo dove voglia andare a parare, quindi vengo al punto: le sensazioni sono elaborazioni dei cervello che decide di codificare una serie di impulsi esterni in base all’esperienza acquisita. In assenza di esperienza non si ha sensazione, ma, e qui viene il busillis, chi ci assicura che la STESSA esperienza provochi la MEDESIMA sensazione in persone diverse?
Prendiamo il senso della vista che è facile da analizzare e da immaginare. Cominciamo con il pensare a un bambino piccolo che gioca con i cubetti (sì, bravi quelli di varie dimensioni e colori che si impilano, in ogni casa ce ne sono). La luce solare colpisce il cubo azzurro, una certa lunghezza d’onda viene rifratta, colpisce la retina del bambino, questo stimola la produzione di un segnale che viaggia fino alla corteccia visiva e qui si attivano una serie di neuroni. Ogni volta che il bambino volge gli occhio verso quel particolare cubetto succede la stessa cosa e gli stessi neuroni si attivano (ovviamente non è proprio così e sto semplificando parecchio me ne scuso con i numerosissimi neuroscienziati che leggono questo pezzo).
Col tempo l’associazione si è fatta stabile cubetto = neuroni = azzurro. L’attivazione di quei particolari neuroni mi dà la sensazione di azzurro.
Fin qui funziona tutto meglio delle coincidenze delle ferrovie teutoniche. Immaginiamo ora che il bambino esca all’aperto e veda il cielo di quell’esatta tonalità del cubetto, si attivano i neuroni azzurri e il cielo sarà azzurro.
Quando il bambino impara a parlare un genitore premuroso gli insegnerà che quel colore si chiama azzurro, ma per quel che ci riguarda potrebbe essere light blue o carriola o scarcagnac che farebbe lo stesso.
Ora, ciò che mi domando è: chi ci assicura che la sensazione prodotta dall’azzurro sia la stessa per il bambino, sua madre, me, Umberto Eco, Barack Obama, Bruce Willis, Pamela Anderson, lo zio Sam, il gatto dei vicini e Spongebob?
Se posso essere relativamente sicura che il gatto dei vicini abbia una sensazione di azzurro diversa dalla mia, chi mi assicura che la mia sia uguale a quella di Obama?
Per questo alla filosofia ho preferitol’approccio scientifico, anzi ho a sensazione che con queste basi di neuroscienze i dibattiti col professore di filosofia del liceo che mi dava della materialista-empirista sarebbero stati di gran lunga più interessanti. Purtroppo la vita non si vive mai nell’ordine giusto, ma di questo problema mi occuperò un’altra volta.
Per tornare all’azzurro problema la questione è tutt’altro che risibile, si tratta di capire:
- se i neuroni che si attivano la prima volta che si vede un colore siano gli stessi per tutti o se in qualche modo possa dipendere dal fatto che il primo oggetto azzurro ad essere visto sia un cubo piuttosto che una piramide o sia in casa piuttosto che al parco.
- Se l’attivazione di quelli che abbiamo chiamato neuroni azzurri producano effettivamente la stessa sensazione in individui diversi.
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