mercoledì 27 marzo 2013

Gli americani hanno dottor House, ER, Grey's Anatomy e Scrubs. Ma per fortuna a noi resta "Un medico in famiglia".

Chi, come me, non le ha mai viste è abituato a ridere di Beautiful, Dallas e tutte quelle lunghissime soap opera che vanno avanti per diecimila puntate con storie sempre più intricate o francamente improbabili: morti, resurrezioni, matrimoni e divorzi... questo insomma.

Poi stai guardando un medico in famiglia e sei colto da un'illuminazione.


Contestualizziamo "Un medico in famiglia" per tutti coloro che fanno finta di non averlo mai visto: è una di quelle serie che inizi a vedere e fai ancora le medie, hai tempo da perdere e tutto sommato, anche se (o proprio perchè) sono all'italiana e alla buona ti prendono.
E poi, anche se non è E.R. è una delle poche fiction RAI in cui non c'è Giuseppe Fiorello che fa l'eroe italiano morto.
E per vedere Grey's Anatomy in anteprima devi pagare un abbonamento a Sky e alla fin fine le tresche sono improbabili lo stesso, ci sono solo attori più fighi.

Così finisce che segui una stagione, poi due, la terza fa un po' schifo ma va bè son curiosa di vedere come se la cavano senza il protagonista, la quarta la vedi sperando (inutilmente) che faccia meno schifo della terza e così via in una spirale perversa.
Tanto che lo guardi per inerzia e non ti fermi a ripensare alla trama, anche perchè in gran parte mica te la ricordi... hai in mente chi sono i personaggi e i loro rapporti di parentela, ma sulla composizione finale della famiglia non ti interroghi mai.
Fino all'epifania dell'ottava serie.

Per giungere all'epifania, però, mi tocca partire un po' alla lontana, mi scuso quindi in anticipo per la lunghezza del post (che ho dovuto per forza di cose dividere così non rubo troppo tempo prezioso a qualunque-cosa-stiate-facendo-e-probabilmente-sarebbe-meglio-tornare-a-fare-anzichè-leggere-questo-blog).


****SPOILER****
da qui in poi racconto la trama delle serie, quindi se avete già scaricato tutte le puntate e sono nel vostro pc in attesa di giornate sufficientemente piovose per guardarle, beh potete anche smettere di leggere questo post.
Se invece le avete già viste, potete comodamente far finta di non esservi mai interessati a un programma tanto volgare e avrete un'ottima scusa per giustificare la conoscenza della trama e dei personaggi ("Un medico in famiglia? Noooo... mai visto... però ho giusto letto un post su TripToFun!").
Mi scuso sin d'ora per le imprecisioni della trama... ho tempo da perdere ma non troppo e per la ricostruzione della storia mi sono affidata a wikipedia e ai miei ricordi delle medie.

PRIMA E SECONDA STAGIONE

Il fascinoso dottor Martini
Lele Martini (Giulio Scarpati, il medico protagonista) è da poco rimasto vedovo e si trasferisce in una graziosa villetta con i tre figli: Maria, Ciccio e Annuccia.
Vivono con loro anche il nonno Libero (Lino Banfi) e una "ragazza alla pari" napoletana Cettina che ben presto si fidanza con Giacinto (Enrico Brignano).

Possiamo già intravedere la prima regola della serie: gli autori assegnano l'identità ai personaggi aprendo a caso quei libri che si usano per fare dei tuoi figli dei disadattati scegliere dei nomi originali alla tua prole. Se per sbaglio capita che a un personaggio danno un nome normale gli affibbiano subito un soprannome orribile per compensare. L'unica che si salva è Maria, forse per ricompensarla del suo improbabile nome vero: Margot Sikabonyi.

A breve si trasferisce a casa Martini anche il cugino Alberto (il figlio della sorella di Lele, Nilde) e ogni tanto compaiono i nonni materni, Enrica e Nicola (Riccardo Garrone).
Lele fa il medico alla ASL e, come in ogni medical serial che si rispetti, si innamora prima di Irene, una collega, e poi di sua cognata Alice (Claudia Pandolfi, sì, la sorella della moglie morta).

Tutta la seconda stagione è sulla storia d'amore impossibile di Lele e Alice, tra lei che si fa venire i sensi di colpa per il tradimento della memoria della sorella e lui che non riesce a dirle ti amo per venti e passa puntate.
Però alla fine si sposano e Alice partorisce pure due bambini in un ascensore, Libero (come il nonno) ed Elena (come la zia/matrigna-morta). Anche Nilde, la sorella di Lele, compare a un certo punto con un bambino avuto da uno sconosciuto di colore, un fantastico gagno mulatto che chiamano Gabriele (come lo zio), detto Lele junior o Lelejù (che vi avevo detto dei soprannomi?).

Nonno Nicola nelle vesti di San Pietro
Alla fine della seconda stagione Maria decide opportunamente di studiare medicina, anche perchè Lele-Scarpati non ha firmato il contratto per la terza serie e "un medico in famiglia" senza medico suona piuttosto male.
Ci lascia anche nonno Nicola, che divorzia da nonna Enrica per andare a svolgere il ben più redditizio ruolo di San Pietro nella pubblicità della Lavazza.



TERZA STAGIONE

Nella terza stagione la trama inizia a scricchiolare... 
Lele parte per l'Australia coi gemelli neonati per cercare una cura per qualche malattia improbabile per la quale, evidentemente, si possono fare solo esperimenti sui canguri.
siccome anche la Pandolfi aveva di meglio da fare, Alice va in Brasile e poi raggiunge Lele in Australia.
Abbiamo quindi due neo-genitori degeneri che si prendono cura degli ultimi nati abbandonando a casa a decine di migliaia di chilometri di distanza tre ragazzini e un nonno.
Gli sceneggiatori devono aver pensato che la trama fosse già sufficientemente stiracchiata e non se la sono sentita di forzare il legame "medico in famiglia" con la diciannovenne Maria al primo anno di università.
L'ancor più fascinoso Guido
Fa così la sua comparsa Guido (Pietro Sermonti), nuovo medico della ASL di cui Maria si innamora immediatamente e a cui offre di affittare la stanza dei genitori appena partiti.
Mano a mano che Maria si innamora di Guido scopriamo la storia straziante di quest'ultimo, abbandonato appena nato dalla madre e cresciuto in un orfanotrofio solo e senza amici. Ovviamente i due si fidanzano, poi Guido tradisce Maria, ma in realtà è tutto un malinteso e lei lo perdona, nell'ultima puntata si riappacificano.

Come dimenticare poi la storia parallela di Oscar, medico omosessuale amico di Lele, e Jessica, infermiera della ASL. Amici per la pelle finiscono a letto una sera per sbaglio e generano una creatura che non si sa bene se sia di Oscar o dell'ex fidanzato di Jessica. Alla fine, magnanimamente, Oscar rinuncia al test di paternità e affida il pargolo alle amorevoli cure dei due ex fidanzati che grazie a questa avventura si sono ritrovati.
Nonno Nicola accoglie Giacinto in paradiso
Nel frattempo Garrone offre a Brignano un redditizio lavoro come guardiano del Paradiso Lavazza, di conseguenza il suo alter-ego Giacinto si trasforma in uno stronzo che tiene il piede in due scarpe: promette il matrimonio a Cettina, ma si scopre che ha in realtà una seconda famiglia in Calabria (o in Puglia, o in Basilicata... da quelle parti lì).
Cettina, disperata, si consola presto con l'impresario di pompe funebri Augusto Torello e naturalmente le battute sulle pompe funebri e la prestanza fisica di torello non mancano.
Insomma alla fine si sposano pure loro chè se non c'è un matrimonio a serie mica siamo contenti!



QUARTA STAGIONE


La quarta serie è copiata paro paro dalla terza.
Guido e Maria litigano, questa volta per colpa di Maria che si innamora dell'ennesimo nuovo arrivo della Asl, tal dottor Franco Caselli di una associazione umanitaria.
Cettina e Torello, felicemente sposati, vanno a vivere comodamente nel villino di fronte a casa Martini (anche perchè se no tutti in casa ci si stava stretti).
Guido e Maria fanno pace e decidono di sposarsi ed andare a vivere nella vecchia casa della famiglia Martini.
Vogliamo perderci l'ennesimo matrimonio? ovviamente no... nonno Libero e nonna Enrica, nonostante si siano sempre odiati, si sposano in comune per motivi fiscali: a lui diagnosticano una patologia cardiaca fatale e vuole fare in modo che anche in caso di morte la sua pensione possa mantenere la famiglia Martini.
Solo che poi la storia della malattia fatale era tutta una bufala di Banfi che ha minacciato di lasciare la serie per farsi alzare il compenso.
A questo punto torna opportunamente Lele, giusto in tempo per scoprire che mentre lui faceva il figo in Australia a curare i canguri suo padre si è sposato con sua suocera, sua figlia si sta sposando con un tizio mai visto e gli altri due figli sono cresciuti tantissimo, anche se continuano ad essere inutili.


QUINTA STAGIONE

La quinta serie, altrimenti nota come "quella degli indiani" è il punto più basso mai raggiunto nella storia.
Guido-Sermonti si è trovato di meglio da fare e anche Maria non ha così voglia di lavorare a una nuova stagione... in compenso Kabir Bedi (sì, quello di Sandokan) esprime un entusiastico desiderio di partecipare.
Kabir Bedi in Sandokan
...e in un medico in famiglia
Lo sceneggiatore si trova in difficoltà: da un lato deve inserire nella trama questo indiano che evidentemente non c'entra nulla e dall'altro deve inventarsi un rimpiazzo per il medico (oppure trasformare la serie in "Un Sandokan in famiglia").
Se la cava con un tal dottor Emilio Villari, promesso sposo della nipote di un vecchio spasimante e cugino di Nonna Enrica.
Ve la ridico perchè non l'ho capita neanche io.
Il cugino di nonna Enrica (che ci provava con lei) ha una nipote e l'ha promessa in sposa a un dottore. Che quindi si trasferisce lì. Lineare no?

E poi ci sono questi indiani che aprono un ristorante davanti a casa Martini.

Guido e Maria sono in Africa a curare i bambini che stanno tanto male (Maria è ancora all'Università, ma ovviamente può prendersi un anno mentre "prepara la tesi" con il neo-sposino). Nonno Libero diventa sindaco di Poggiofiorito, così, per buttarla in caciara.
Torna anche il cugino Alberto che prima ammorba tutti con la sua infelice storia d'amore con Eloisa, poi è protagonista di una serie di scene strazianti con il padre in punto di morte che alla fine perdona nonostante lo abbia abbandonato da piccolo. Infine si fidanza con Reby, l'amica d'infanzia di Maria.
Cettina e Torello hanno un figlio, Eros (tanto per non perdere il vizio ai nomi orribili), ma subito dopo si lasciano.
Se finora la trama vi sembra slegata non vi preoccupate, non può che peggiorare.

Cettina si innamora di Kabir Bedi, quando si accorge che a lui non gliene può importare di meno si trasferisce a Pescara col figlio e inizia a lavorare per i rivali di Torello, ma tanto alla fine si riappacificano e tornano assieme.
Maria torna dall'Africa di nascosto dalla famiglia, ma ovviamente viene scoperta e deve raccontare la tragica storia della sua crisi di vocazione medica. Si mette quindi a lavorare come cameriera nel ristorante degli indiani e riesce a combinare un matrimonio tra Sarita (la figlia di Kabir) ed Emilio (l'inutile medico di questa serie).



Se non vedete l'ora (e so che sicuramente è così) di sapere come continua l'improbabile saga familiare mi spiace deludervi, ma dovrete attendere qualche giorno. Sono sicura che sopravviverete... a fatica, ma sopravviverete.

domenica 24 marzo 2013

PRIMA LEZIONE DI ANATOMIA (Le nebbie del tempo 4)


La prima lezione di Anatomia iniziò con la proiezione di diapositive.
No, non power point... Il nostro professore era all'antica (e noi saremmo stati i suoi ultimi allievi) quindi niente pc, niente videoproiettore, tutto ciò che avevamo a disposizione era un vecchio proiettore di diapositive come quelli per le foto di famiglia e una lavagna luminosa.
Le nostre lezioni si sono svolte tutte così, col il prof. che pasticciava dal vivo con il pennarello indelebile lucidi di disegni anatomici in bianco e nero.
La prima diapositiva proiettata alla prima lezione fu l'uomo Vitruviano. Un po' scontato, forse, ma con un suo significato e mi piace pensare che sia anche per questo che come prima immagine della mia tesi di laurea, sei anni più tardi, abbia scelto un disegno anatomico di Leonardo.
La seconda diapositiva era invece incomprensibile: qualcosa di colorato, una foto, un dettaglio, nessuno capiva cosa fosse. Il prof. ci lasciò lì a interrogarci per un po', poi girò sulla terza diapositiva: la foto di un camion di cui la prima era in realtà un dettaglio tra la fiancata e il passaruota.
Il messaggio recondito ci risultò chiaro a breve: l'anatomia è l'arte di interpretare immagini oscure che illustratori dell'Ottocento e fotocopiatori moderni rendono ancora più ostiche.

Ma il ricordo migliore che ho del corso di anatomia e che racchiude tutta la tenerezza del primo anno di università non risale alla prima lezione ma, credo, alla seconda o alla terza. Si parlava di colonna vertebrale e per rendere più interattiva la spiegazione il professore aveva portato una vertebra di giraffa, sgraffignata da lui medesimo durante un viaggio in Africa. Era il primo "oggetto didattico" su cui potevamo mettere le mani e stava lentamente passando tra i banchi. Ebbene non dimenticherò mai la faccia di una ragazza della seconda fila, costretta a prendere l'oggetto per il cordino al quale era appeso e trasferirlo al vicino: braccio teso come se dovesse proteggersi da un'infezione mortale, sguardo di disgusto come mai ne ho visti e tutto per un misero osso perfettamente ripulito (e neanche umano).

Io all'epoca non ero a questi livelli, ma nemmeno tanto distante. Pensavo che avrei fatto psichiatria e che la prima volta in sala operatoria sarei svenuta perché due anni prima, quando mi avevano costretto a guardare una puntata di ER avevo passato due ore a contorcermi sul divano dal ribrezzo.
Vi lascio immaginare le espressioni di parenti e amici quando ho annunciato che mi sarei iscritta al test di Medicina. Vi lascio immaginare le espressioni di parenti e amici quando ora racconto di gente che arriva al pronto soccorso con un dito mozzato in un fazzoletto.

Il passaggio sembra folle ai limiti dell'impossibile, ma in realtà è piuttosto breve. Si consuma quasi tutto alla prima esercitazione di anatomia. La raccomandazione del professore, in quel lontano pomeriggio di Aprile del primo anno, suonò così: "Mi raccomando ragazzi, i reperti che vi troverete a maneggiare sono di persone che hanno donato il proprio corpo alla scienza, non dimenticate mai che sono state persone vere, quindi, per favore, cercate di evitare di tirare un osso in testa al vicino".
Nulla ci suonò assurdo come questo monito nel momento in cui fu pronunciato.
Eravamo timidi, nei nostri camici indossati per la prima volta, atterriti all'idea che avremmo dovuto per forza toccare delle ossa umane.
Per la prima mezz'ora credo di aver letto negli occhi della maggior parte dei miei compagni il più profondo disgusto, poi solo più perplessità mano a mano che i più audaci iniziavano a manipolare i preparati. Per la fine del pomeriggio la domanda più comune era: "Mi presti una tibia del tuo tavolo che sto ricostruendo la bandiera dei pirati?"


mercoledì 20 marzo 2013

Che poi alla fine le statistiche mi stanno anche sul culo

Ho sempre pensato che i blogger che parlano di come sta andando il loro blog facciano un po' pena. Forse perchè non me ne è mai fregato un gran che di come vada il blog.

Però cavolo, ho appena scoperto le statistiche di blogger (in ritardo di qualche anno, lo so, ma vi ho detto non me ne frega niente) quindi ho delle informazioni di cui vi devo assolutamente mettere a parte, non potete farne a meno, giuro.

Il fatto che il mio attuale sito (www.triptofun.it) sia al quinto posto come sorgente di caricamento della pagina mi inquieta un po' (google supera 7 a 1 il secondo in classifica che è il blog stesso, seguito a ruota da facebook e dal vecchio host altervista.
Che la maggior parte delle visite arrivasse dall'Italia potevo aspettarmelo, 3350 dagli USA mi sembrano un po' tanto per dipendere dai pochi italiani che conosco laggiù.
Si sono però aggiunti alla collezione Spagna, Regno Unito, Portogallo, Austria , Giappone (!!), Canada, Francia, Romania, Ucraina. La Svizzera è sempre al terzo gradino del podio, ne approfitto per salutare tutto il canton Ticino e qualche signor Rezzonico che ci segue.
La maggior parte dei miei lettori ha Windows, ma almeno installa Chrome. Il 9% sono fighetti con l'iPhone.

E ora il pezzo forte:
circa 2100 persone sono capitate sul mio blog digitando su google parole come "apericena" "apericena cos'è" "apericena immagini" e varianti....
altri 1590 cercavano Hogwarts
qualcuno cercava "bignami di biochimica"
meno male che 14 cercavano Mikipedia (nice try, vi voglio bene ragazzi)
a nessuno è mai venuto in mente di cercare nulla di neanche solo vagamente correlato con l'università o la medicina.

Posto che posso benissimo fare a meno delle visite di sconosciuti che trovano questo blog tramite google (scrivo soprattutto per gente che mi conosce se no non mi diverto)
credo di aver colto per la prima volta la natura dell'eterno dilemma del blogger: o inizio a scrivere culo tette figa come titolo dei post o cambio mestiere... che è decisamente meglio.

martedì 19 marzo 2013

la formula magica dello studio


mi chiedessero oggi cosa serve per studiare medicina la mia risposta sarebbe molto semplice: buona memoria e forza di volontà.
Per fare il medico servono anche innumerevoli altre caratteristiche, è vero, ma per ottenere una laurea queste due sono sufficienti.
Qualcuno mi dirà: e l'intelligenza?
Ne ho discusso decine di volte, l'intelligenza non è indispensabile. Può essere ciò che ti permette di risparmiare tempo o di arrivare dal 28 al 30, magari perchè rispondi "a senso" a una domanda che non c'era sul libro.
Penso esista una formula
voto = (tempo di studio x memoria) + forza di volontà/distrazioni
In pratica più hai memoria meno temo puoi permetterti di dedicare allo studio a parità di risultati. Tutto questo se hai la forza di volontà di desiderare quel risultato e dedicare quel tempo.
In tutto ciò l'intelligenza ha poco spazio, a meno che non si intenda per "intelligenza" la capacità di memorizzare molti dati in poco tempo o di schedarli in maniera efficace in modo da risparmiare tempo nel riprenderli o una capacità di concentrazione fuori dal comune.
Ciò che richiede la nostra facoltà è nè più nè meno che saper leggere un libro, comprendere a grandi linee cosa c'è scritto, impararne tutti i dettagli, capire la psicologia del professore e ripetere quanto appreso nella forma più idonea a quest'ultima.

ll cannibalismo degli anatomo-patologi

l'iperplasia endometriale può essere semplice, senza atipie, con dilatazione cistica delle ghiandole così da dare un aspetto di formaggio svizzero

lo scorrimento dei foglietti pericardici nella pericardite fibrinosa può provocare rilievi irregolari a pane e burro

colecisti a fragola

Nel fegato da stasi si osserva l'ispessimento della glissoniana che fornisce il tipico aspetto a zucchero candito.

La parete della cisti epatica da echinococco è costituita da uno strato esterno che ha aspetto di albuno d'uovo cotto

milza a sagù

cuore a prosciutto

la prima volta in sala operatoria

emicolectomia

La botta di culo agli esami

Oggi affronterò un tema scottante, sul quale, sono certa, ogni studente universitario ha discusso almeno una dozzina di volte: lo studio e la botta di culo.
Tempo fa un mio compagno sosteneva la seguente tesi: "Non dico che non ci sia gente che studia e tutto quanto, ma c'è gente che ha un culo incredibile e che si laurea a forza di botte di culo. Prendi fisio ad esempio, uno la studia due mesi, poi ha culo e la passa al primo colpo: ha guadagnato sei mesi rispetto a chi la prepara tutta alla perfezione e poi magari è pure sfigato e prende un voto basso".
Argomentazione ineccepibile, la botta di culo ogni tanto capita, anzi è inevitabile e proprio perchè la dea è bendata nella carriera universitaria di ognuno capita il caso fortunato e quello sfigato, per semplice probabilità. L'unico che non ne usufruisce è quello che non ne ha bisogno, quello che sa sempre tutto (posto che esista) allora sì, a lui può solo andare di sfiga.
Un conto, però, è attribuire un voto alla fortuna, un conto è "laurearsi a forza di botte di culo".
Bisogna intendersi sui termini: è "culo" se studio 500 pagine di ginecologia e il prof. all'esame mi chiede la percentuale di cesarei a Campobasso io gliela dico e prendo 30 e lode?
E' vero che potevo sapere solo quello (questo si applica a tutti gli esami), ma di fatto io le 500 pagine le sapevo.
Sicuramente è "sfiga" se so le mie 500 pagine, non so la percentuale di cesarei a Campobasso e il prof. mi boccia... metà delle leggende sugli esami universitari impossibili nasce così.

Penso che ci sia moltissima gente che non sa (o non vuole) valutare la propria preparazione e si dividono in due categorie: quelli che "Non so niente" prima dell'esame e poi se prendono un bel voto "Ho avuto culo" e quelli "Mi sono impegnato tanto" e se va male "Ho avuto sfiga/il prof. è uno stronzo". Ovvio che i primi, essendo incapaci di valutare la propria preparazione e soffrendo di cronica carenza di autostima, tendono a prendere voti più alti dei secondi dando la falsa impressione che ci sia gente che si laurea con la sola assistenza della dea bendata.

La questione si complica per gli esami che non rispecchiano la preparazione in quanto sono concepiti per valutare qualcosa di diverso dalla conoscenza che lo studente ha della materia.
Tali casi non dovrebbero esistere, ma quando avvengono fanno sì che un'ottima preparazione sulla materia non si tramuti automaticamente in un buon voto.
Sono gli esami che causano i dibattiti più accaniti perchè in questi casi chi ha l'astuzia di studiare scholae e non vitae ha risultati di gran lunga migliori con una effettiva conoscenza minore della materia in questione.

Non si finirà mai di discutere: è più intelligente chi capisce come ottenere il suo risultato e lo persegue con costanza o chi fa ciò che ritiene più corretto e più utile per il suo futuro indipendentemente dal voto?
Purtroppo, così come i test di intelligenza selezionano chi ha l'abilità di risolvere i test di intelligenza e non chi è intelligente, allo stesso modo l'università seleziona chi sa passare gli esami e non chi sa.
E' un grosso limite, perchè poi dà la stura alle lamentele sui "110 e lode che non sanno fare niente". Ora, se i 110 e lode non sanno fare niente, se possono esistere dei 110 e lode che non sanno fare niente a mio parere è colpa dell'università e non loro.
Mi si potrebbe obiettare che è questione di maturità personale impegnarsi per imparare a fare il proprio mestiere, quale che sia. Ritengo però che l'istruzione non debba pensare agli studenti volenterosi, ma ai cittadini, per garantire alla popolazione che quel medico nella migliore delle ipotesi "ha voluto", ma nella peggiore "non ha potuto fare a meno di" imparare bene il proprio mestiere.

Malaga

Malaga, 4 Giorni, 3 Studenti di Medicina

Arrivare a destinazione e scoprirsi in possesso di un paio di forbici con la lama da 10 cm sfuggite misteriosamente agli zelanti controllori di Malpensa


La Costa del Sol sotto il temporale

Tre canas y tapas, un chupito, un tequila caramel e un ron cola per 10 euro ed essere ancora sobri alle 3 del mattino... questa è vita

Essere svegliati alle 9.30 di domenica mattina da una ventina di andalusi che urlano in corridoio perchè devono girare un corto in casa

Scoprire che hanno invaso ogni stanza con cavalletti, borsoni, fari, telecamere, hanno rovesciato i mobili per preparare il set, hanno spostato divani e poltrone sulle scale e si sono seduti a conversare comodamente nel pianerottolo.

Un locale che chiama i chupito come le malattie veneree

Ti avvertono che la musica ad alto volume può causare la perdita permanente dell'udito, ma poi usano un cauto condizionale "fumar puede matar"

Sfondarsi di paella alle 5 di pomeriggio e digerirla 12 ore dopo

Andare a un mercatino di beneficienza sulle malattie rare ed esclamare ad ogni banco, con faccia seramente esaltata "guarda, l'Asperger!" "Ehi, la fibromialgia!" "Che figo, c'è il lupus", "Noo, anche l'insufficienza renale"

Tornare il giorno successivo all'uccisione di Bin Laden, quando i controlli aeroportuali raggiungono il loro massimo storico e ringraziare di aver lasciato perdere le forbici

lunedì 18 marzo 2013

COTTA DI MAGLIA



Quarto anno, tirocinio di urologia.

Finisco in sala operatoria su un intervento particolare.
Un centinaio di scatti di brillanza per rimuovere un calcolo renale in modo "mini-invasivo".
Appena arrivo mi consegnano un camice piombato, per proteggermi dalle radiazioni del peso di una decina di chili. E' difficile immaginare quanto possa pesare una mantellina di plastica farcita di piombo se non l'hai mai indossata.
Dà un senso di protezione.
Mi metto buona in un angolo e inizio ad osservare le manovre dei chirurghi che si muovono con maestria.
Scatto di brillanza per identificare il calcolo.
riposizionamento del paziente
scatto di brillanza
inserzione dell'ago con mandrino
scatto di brillanza
riallineamento dell'ago
scatto di brillanza
l'ago trapassa i muscoli della schiena e raggiunge la pelvi
scatto di brillanza
l'ago non è correttamente orientato
estrazione dell'ago
riallineamento dell'ago
scatto di brillanza
passano le ore e i chirurghi iniziano ad affaccendarsi sempre più frenetici, a sudare sotto il camice sterile di tessuto non tessuto.
Intanto il camice piombato pesa sulle mie spalle in modo insopportabile, provo a cambiare posizione a caricare prima un piede e poi l'altro, a spostare le braccia, nulla.
Tutti i chili del piombo gravano sulle mie clavicole, sui dischi intervertebrali, sulle ginocchia.
Ed è allora che mi viene in mente, la similitudine perfetta: i chirurghi e i cavalieri medievali che lottano, protetti dall'armatura di piombo gli uni come dalla cotta di maglia gli altri, che infilzano con l'ago o con la lancia in una lotta eterna.

domenica 17 marzo 2013

Tachicardia Parossistica Sopra Ventricolare



Succede così, all'improvviso, e non sai spiegarti perchè.
Hai parlato in pubblico mille volte, a una platea di genitori, ai tuoi compagni di corso, alle assemblee, alle feste in discoteca, alla televisione, anche in diretta. Tutto sommato pensi che il peggio che ti possa capitare per l'agitazione è di usare troppo il diaframma o sbagliare qualche parola qua e là.



Arriva il giorno che devi leggere un comunicato a 150 professori che si fanno i fatti loro e forse il problema è solo che non dovevi farlo tu, ma il designato è in ritardo, così ti ritrovi all'improvviso con questo foglietto in mano mentre il Preside ti chiama sul palco.

Scendi le scale e la tua frequenza standard di 90 è già a 120.

Sali sul podio, accendi il microfono, 140.

Fai in tempo a dire "Grazie" e puoi nettamente percepire il cuore che si contrae a tutta forza, pompando il suo contenuto in aorta 170 volte al minuto, senti che si spreme, senti il secco Toc della chiusura delle valvole semilunari, senti l'apice che in diastole batte contro le coste.

Leggi le prime parole dal foglio, mentre nel tuo cervello emerge la formula, letta chissà dove e chissà quando "Tachicardia Parossistica Sopra Ventricolare - TPSV". E anche senza elettrocardiogramma sai che è giusto.

"Adesso passa" - ti dici - "Mica ho il monitor, non se ne accorge nessuno". Continui a parlare, lentamente, scandendo le parole.
A metà della frase, però, il cuore ha già fatto 20 battiti, troppi per non respirare, ma non puoi fermarti.
Quando arrivi alla fine è come se fossi in apnea da 10 minuti, tiri un sospiro lunghissimo.

Adesso passa.

Invece no.

E il comunicato è lungo, mentre combatti con la tua frequenza cardiaca pensi che non vorresti leggerlo pedestremente, vorresti soffermarti a guardare uno a uno i tuoi uditori, capire chi ti ascolta e chi si fa i fatti propri, forse ti rilasserebbe.
Ma, mentre sollevi gli occhi dal foglio e riformuli le frasi, ti inciampi nelle parole e non sai quando prendere fiato e questo ti agita ancora di più.

La prima pagina è finita.
Non passerà, ormai l'hai capito, ma hai imparato a conviverci, sai fare le pause per respirare anche a metà della frase in modo che sembrino quasi espressive e non i rantoli di uno strangolato... in fondo potrebbe andare peggio.

Infatti succede.

Ti trema la voce, non hai un nodo in gola, non hai le mani sudate, eppure la voce ti esce incerta e si incrina quando meno te l'aspetti. Per fortuna mancano poche frasi, ormai senti solo nel cervello il Ta-Tun del cuore, il sibilo dei pochi respiri che riesci a fare e in lontananza l'eco al microfono di una voce spezzata che continui a sperare non sia la tua.

La prossima volta, magari, piglio un inderal.

martedì 12 marzo 2013

IL PASSO PIU' LUNGO DELLA GAMBA


"Credo che il suo video l'abbia visto anche Kandel se la cosa può costituire per Lei motivo di vanto..."
Montarolo è seduto a fianco a me sulla seggiovia, sta dondolando uno sci su e giù come fanno i maestri quando si annoiano e mi fissa col suo mezzo sorriso aspettando la mia reazione.
Oh beh, in fondo è solo Eric Kandel
Cazzo.

domenica 10 marzo 2013

DALL'ALTRA PARTE




un giorno come tanti ai monitoraggi pressori.

"Lei signore è destro o mancino?"

vedo che esita a rispondermi

"Con che mano scrive?"

"Con la destra, però sono un caso un po' particolare... sono un situs viscerum inversus totale"

alzo gli occhi e lui riconosce subito la scintilla nel mio sguardo, deve averla vista accendersi un milione di volte grazie a quelle tre parole latine, una formula magica infallibile.

"Pensi che quando ero al mare mi hanno dovuto operare d'urgenza di appendicite, sono andato al Policlinico e mi hanno fatto un taglio assurdo. Poi ci hanno messo quattro ore e mezza perchè sono venuti da tutto l'ospedale a vedere l'operazione... mia moglie era preoccupatissima, pensava fossi grave, invece volevano tutti vedere!"

a mio eterno demerito il primo pensiero non è andato a quella povera donna, ma a quanto avrei voluto essere lì anch'io. L'immagine del chirurgo che si attacca al cicalino, degli specializzandi che si precipitano, della affannosa ricerca di una machina fotografica, di lezioni che si progettano mi si è affacciata alla mente ben prima di quella di questa moglie disperata, chiusa fuori da una porta con gente sovraeccitata che continua a entrare e uscire, in un corridoio silezioso, preoccupata per il marito che teme stia per morire.

Nel pieno dell'immedesimazione cerco di giustificare i colleghi



"Eh sa è una condizione rara, saranno stati stupiti [al settimo cielo dalla gioia N.d.R.]"

"Sì, infatti, poi c'erano anche tutte le dottoresse giovani che mi hanno preso a cuore e venivano a chiedermi tutti i giorni come stavo ed erano molto gentili"

E voi penserete: erano gentili per tentare di compensare di aver quasi fatto prendere un colpo a sua moglie, di averlo tenuto quattro ore in sala operatoria inutilmente e di avergli squarciato orrendamente l'addome.
No.
Vi posso assicurare che quello che sentivano loro lo sento anch'io, e con me la quasi totalità dei medici, è come avere nel pre-frontale un neon colorato di dieci metri che si accende a intermittenza e dice "è un situs viscerum inversus CHE FIGO".
E va bene che in questo caso è una malattia che non dà particolari problemi, il dramma viene quando una malattia rara e "figa" è anche mortale, in tal caso a fianco al neon si accende la lampadina del senso di colpa che ricorda "non dovrebbe sembrarti figo, perchè per lui non lo è affatto". La seconda lampadina però non spegne la prima, fa solo più confusione.
Non c'è niente da fare, siamo programmati così. Voi potreste pensare che sia inumano trovare interessante una malattia mortale o un'anomalia raccapricciante e vi sembrerà inquietante che l'unico a provare piacere da un orrore del genere è proprio il dottore che vi dovrà curare.
Eppure siamo fatti così, forse uno non sceglie medicina se non ha almeno un po' di quel senso del mistero della natura che nell'ottocento spingeva le folle a pagare il biglietto del circo per vedere i monstra e oggi alza lo share dello show dei record.

Un interrogativo però è doveroso, è giusto preoccuparsi di più, seguire meglio un paziente solo perchè ha una condizione strana? In fondo l'appendicite del mio paziente aveva la stessa probabilità di dargli complicazioni, la sua ferita la stessa probabilità di sovrinfettarsi di quella del suo vicino. Ma gli specializzandi si interessavano a lui perchè il suo cuore è a destra, mentre quello del vicino è, banalmente, a sinistra, come quello di tutti gli altri.
Naturalmente nessun medico dovrebbe trattare i pazienti in modo diverso in base a cose futili come l'età, la simpatia o la posizione del loro cuore, eppure lo facciamo... forse è inevitabile.
Resta da stabilire se l'attenzione in più, pur se dovuta alla curiosità scientifica, può considerarsi lo stesso un maldestro "scusi per il disturbo".
Il mio paziente fortunatamente sembrava pensare di sì.